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12 dicembre 2017

62/17. Mediazione delegata attivata con ritardo: la domanda non è sempre improcedibile (Osservatorio Mediazione Civile n. 62/2017)

=> Tribunale di Vasto, 15 maggio 2017

In tema di mediazione demandata ex art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010, se il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non ha avuto alcuna ripercussione negativa, né sulla durata complessiva della procedura, né sui tempi di definizione del processo, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale deve ritenersi avverata (I) (II).


(II) Per approfondimenti si veda Tribunale, Vasto, ordinanza 15/05/2017, con NOTA di SPINA, in Altalex, 30.11.2017

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 62/2017

Tribunale di Vasto
ordinanza
15 maggio 2017

Omissis

1. Con ordinanza omissis, questo giudice – dopo aver evidenziato e indicato alle parti gli indici di concreta mediabilità della controversia – disponeva, ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D.L.gs. 4 marzo 2010, n. 28, l’esperimento della procedura di mediazione per la ricerca di una soluzione amichevole della lite. In ottemperanza alle statuizioni giudiziali, la parte attrice dava inizio al procedimento comparendo, personalmente e con l’assistenza del proprio difensore, al primo incontro, tenutosi in data 28.09.2015 innanzi all’organismo di mediazione prescelto. La procedura, però, non sortiva esito positivo, dal momento che al primo incontro il mediatore prendeva atto della mancata comparizione della parte invitata e al successivo incontro del 13.10.2015 dichiarava, di conseguenza, chiuso il procedimento.
2. All’udienza di rinvio del 03.03.2016, la parte convenuta, prima di chiedere la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, formulava una preliminare eccezione di improcedibilità della domanda attorea, sull’assunto che la domanda di mediazione fosse stata presentata tardivamente, oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice con l’ordinanza di rimessione delle parti in mediazione. L’attore si opponeva all’accoglimento dell’eccezione e chiedeva, in ogni caso, fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.
3. Prima di avviare la causa alla fase decisoria, si impone la necessità di operare un approfondimento sul tema della natura del termine di giorni quindici che, ai sensi dell’art. 5, commi 1 bis e 2, D. Lgs. n. 28/10, il giudice assegna alle parti per la presentazione della domanda di mediazione, quando decide di disporne l’esperimento, una volta «valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti».
Sulla natura perentoria o ordinatoria del predetto termine, nella giurisprudenza di merito si registrano orientamenti oscillanti, che dalla sua qualificazione fanno discendere conseguenze diverse in ordine alla improcedibilità della domanda giudiziale.
3.1. Secondo un primo indirizzo, il termine di quindici giorni assegnato dal giudice ha carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso, Cass. n. 14624/00; Cass., n. 4530/04). In relazione alla fattispecie della mediazione demandata, l’implicita natura perentoria del termine in parola si evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della mediazione. Ne consegue che il tardivo esperimento della mediazione disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, produce gli stessi effetti del mancato esperimento della stessa, ossia impedisce l’avveramento della condizione di procedibilità ed impone, sempre e comunque (vale a dire, senza possibilità di sanatoria), la declaratoria di improcedibilità del giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr., in tal senso, Trib. Lecce, 03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016; Trib. Reggio Emilia, 14.07.2016; Trib. Firenze, 04.06.2015; Trib. Bologna, 15.03.2015).
3.2. Un opposto orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che, in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/2010, la presentazione della domanda di mediazione successivamente al termine di quindici giorni assegnato dal giudice non consente di ritenere operante la sanzione di improcedibilità prevista per il mancato esperimento del tentativo di mediazione, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano, 27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015). Ne deriva che la tardività dell’instaurazione del procedimento di mediazione non può essere equiparata al mancato svolgimento del procedimento medesimo.
A tale considerazione è stato aggiunto che, non essendo la domanda di mediazione un atto del processo, “predicare la perentorietà del termine per la sua presentazione è fuori luogo” (cfr., in tal senso, Trib. Roma, 14.07.2016, n. 14185), per cui la disciplina dello stesso non è riconducibile al regime di cui all’art. 152 c.p.c. 
La tesi della natura ordinatoria conduce alla conclusione che il deposito dell'istanza oltre il termine suddetto non determina l'improcedibilità della domanda, a meno che il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non abbia pregiudicato l’effettivo esperimento della procedura prima della udienza di verifica, fissata ai sensi del secondo comma dell'art. 5 D.Lgs. n. 28/10 (come accadrebbe, ad esempio, nel caso in cui la mediazione demandata dal giudice venga introdotta con molto ritardo rispetto a quanto disposto e a breve distanza temporale dall'udienza di rinvio (cfr., Trib. Roma, 14.07.2016, n. 14185).
3.3. Un indirizzo interpretativo intermedio (cfr., Trib. Savona, 26.10.2016; Trib. Piacenza, 18.10.2016; Trib. Monza, 21.01.2016, n. 156; Trib. Como,  12.01.2015), pur riconoscendo la natura ordinatoria e non perentoria del termine in discorso, afferma che la parte a carico della quale è stato posto l’onere di instaurare il procedimento di mediazione può ottenere dal giudice una proroga del termine, sempreché depositi tempestivamente l’istanza prima della scadenza del termine stesso. È noto, infatti, che i termini ordinatori possono essere prorogati ai sensi dell’art. 154 c.p.c. (in virtù del quale “il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato”), ma solo a condizione che essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine originario, mentre una eventuale ulteriore proroga può essere ammessa subordinatamente alla ricorrenza di motivi particolarmente gravi; ciò sia per l’effetto preclusivo determinato dallo spirare del termine, sia per il contemporaneo verificarsi della decadenza dal diritto di compiere l’attività che ne consegue (in tal senso, tra le innumerevoli sentenze, si vedano Cass., 21.02.2013, n. 4448; Cass., 27.11.2010, n. 23227).
Ne deriva che, in caso di mancata proposizione dell’istanza di proroga del termine prima della sua scadenza, la parte inevitabilmente decadrebbe dalla relativa facoltà di instaurare il procedimento di mediazione, con la conseguenza che, anche secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la tardiva proposizione della domanda di mediazione andrebbe equiparata, sotto il profilo della conseguente improcedibilità della domanda giudiziale, alla sua totale omissione.
4. Nel variegato panorama di opzioni interpretative, questo Giudice ritiene di aderire alla tesi della natura non perentoria del termine assegnato dal giudice per la presentazione della domanda di mediazione, per un duplice ordine di argomentazioni.
Sotto un profilo meramente formale, la mancanza di una espressa previsione legale di perentorietà del termine deve condurre alla conclusione che lo stesso abbia natura ordinatoria e non perentoria, in applicazione del principio statuito dall’art. 152, secondo comma, c.p.c.
Da un punto di vista sostanziale, non ricorrono i presupposti per desumere tale carattere di perentorietà in via interpretativa, sulla base dello scopo che il termine persegue e della funzione che esso adempie.
Analizzando il dato testuale dell’art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, si evince che lo scopo sotteso alla assegnazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione è quello di compulsare le parti all’attivazione della procedura, in modo che essa possa essere portata a termine prima della celebrazione della udienza di rinvio, che – a sua volta – deve essere fissata dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, non superiore a tre mesi. In altre parole, la ratio legis della previsione del termine di quindici giorni risponde alla esigenza di garantire certezza dei tempi di definizione della procedura di mediazione, affinchè la parentesi extraprocessuale, che si apre con l’emissione della ordinanza di rimessione delle parti in mediazione, possa chiudersi entro la data di rinvio del processo ed in tempo utile ad evitare che il tentativo di raggiungimento di un accordo amichevole tra le parti ridondi in danno della durata complessiva del processo, provocando uno slittamento ulteriore della udienza di rinvio e, dunque, un allungamento dei tempi di definizione del giudizio. Tale considerazione trova conferma nella disposizione dell’art. 6, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, che stabilisce che, nella mediazione demandata dal giudice, il termine di durata del procedimento di mediazione decorre, al più tardi, “dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della domanda”, nel caso in cui – ovviamente – a quella data le parti non abbiano già depositato l’istanza.
Ricostruita in questi termini la funzione, per così dire, acceleratoria del termine in discussione, è evidente che ad esso non possa essere attribuito carattere di perentorietà, tanto più che la legge non prevede alcuna sanzione per la sua inosservanza. Dall’attento scrutinio del dato normativo si ricava, infatti, che la sanzione di improcedibilità della domanda giudiziale non consegue alla mancata proposizione della domanda di mediazione entro il termine di quindici giorni, bensì all’omesso esperimento del procedimento entro il termine di celebrazione della udienza di rinvio del processo, il quale viene, a sua volta, calibrato dal giudice in ragione del termine di durata della mediazione, pari a tre mesi decorrenti, al più tardi, dal termine assegnato per la presentazione della istanza.
Da quanto finora detto deriva che la parte istante può ben decidere di avanzare la domanda di mediazione delegata oltre il termine ordinatorio assegnato dal giudice, senza - per ciò solo - incorrere nella declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, la parte che ritarda l’attivazione della procedura si accolla il rischio che il procedimento non riesca a concludersi nel termine massimo di tre mesi, che inizia comunque a decorrere, indipendentemente dalla iniziativa dell’interessato, dalla scadenza del termine assegnato dal giudice.
Questo significa che, ove l’udienza di rinvio del processo sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest’ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura o, in ogni caso, entro il più ampio termine di rinvio del processo all’udienza di verifica.
Diversamente, ove il procedimento di mediazione si sia concluso entro il termine di legge (o, comunque, anche successivamente ma sempre prima della celebrazione della udienza di rinvio), benché iniziato dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice, giammai l’iniziale ritardo potrà determinare la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale.
Non può, dunque, assolutamente condividersi la tesi che equipara, ai fini della improcedibilità della domanda giudiziale, il tardivo esperimento della mediazione al mancato esperimento della stessa, giacchè tale impostazione ha il triplice difetto: a) di desumere la natura perentoria del termine assegnato dal giudice sulla base di una controvertibile ricostruzione dello scopo e della funzione del termine medesimo; b) di giungere, per tal via, ad un’interpretazione estensiva in malam partem della disposizione normativa che sanziona con l’improcedibilità della domanda giudiziale il solo caso di mancato esperimento della procedura di mediazione e non anche la diversa ipotesi di tardiva attivazione di un procedimento regolarmente conclusosi; c) di attribuire maggiore rilevanza ad un elemento formale (vale a dire, il rispetto del termine di quindici giorni) rispetto al fattore sostanziale dello svolgimento del procedimento, contrariamente alla ratio legis di incentivazione del ricorso alla mediazione.
La chiave di lettura che qui si propone ha, invece, il pregio di valorizzare il dato sostanziale dell’esperimento del procedimento di mediazione e si pone in linea con lo spirito della normativa sulla mediazione, che risponde alla logica di favorire, quanto più possibile, la scelta delle parti di ricorrere alla procedura di risoluzione alternativa della controversia, senza penalizzare con gravi sanzioni processuali un contegno di formale ritardo nella attivazione del procedimento, in tutti i casi in cui l’inerzia iniziale della parte non abbia pregiudicato il tempestivo e corretto svolgimento della procedura, né provocato alcun allungamento dei tempi di definizione del giudizio.
5. Facendo applicazione al caso di specie dei principi di diritto innanzi enunciati, risulta dalla documentazione versata in atti che il primo incontro di mediazione si è svolto in data 28.09.2015 ed è altresì provato (oltre che non contestato) che la parte attrice ha presentato la domanda di mediazione il 27.08.2015, vale a dire oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice con l’ordinanza del 13.07.2015, comunicata solo il 08.08.2015 (per la precisione tre giorni dopo la data di scadenza del termine, ricadente il 24.08.2015).
Tuttavia, emerge dal verbale del primo incontro che la procedura di mediazione si è svolta con la regolare convocazione della controparte e si è conclusa in data 13.10.2015 con esito negativo, poiché l’odierno convenuto non ha inteso aderire all’invito, senza – peraltro – fornire alcuna giustificazione della sua mancata partecipazione al primo incontro di mediazione.
Orbene, non vi è dubbio che nel caso in esame l’incontestato ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non ha avuto alcuna ripercussione negativa, né sulla durata complessiva della procedura, che si è comunque conclusa entro il termine massimo di durata di tre mesi, decorrenti dalla scadenza del termine assegnato dal giudice, né tantomeno sui tempi di definizione del processo, posto che all’udienza di rinvio, fissata da questo giudice per il 09.02.2016 e poi rinviata d’ufficio al 03.03.2016 (vale a dire, ad una data successiva rispetto alla scadenza del termine massimo di durata della mediazione), le parti non hanno avanzato alcuna istanza di rinvio o di proroga di un procedimento che è stato comunque ritualmente esperito.
Sulla scorta delle riferite considerazioni, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale avanzata da omissis deve ritenersi avverata e, quindi, l’eccezione di improcedibilità sollevata da omissis non merita di essere accolta.
6. In disparte della questione della improcedibilità della domanda, deve prendersi atto che la parte invitata non ha partecipato al procedimento di mediazione e non ha fornito alcuna giustificazione di tale assenza, né nel corso della procedura mediativa, né nell’ambito del presente giudizio; non può certamente considerarsi giustificato motivo di assenza il rilievo della tardività nella presentazione della domanda di mediazione, non potendo avere il dedotto ritardo, di per sé,  alcuna ripercussione sulla ritualità della procedura. Per tali motivi, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28/10, una pronuncia di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
7. Superata l’eccezione di improcedibilità della domanda, la causa deve essere rinviata per la precisazione delle conclusioni, in conformità alla richiesta congiuntamente avanzata sul punto dalle parti, essendo matura per la decisione ed essendo già state rigettate le richieste istruttorie avanzate dalle parti.

PQM

Disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: rigetta l’eccezione di improcedibilità della domanda principale, sollevata da omissis; condanna la parte convenuta omissis al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 206,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento obbligatorio di mediazione; fissa, per la precisazione delle conclusioni, che ciascuna parte dovrà redigere su separato atto da depositare telematicamente, la successiva omissis. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.

Vasto, 15 maggio 2017

Il Giudice
Dott. Fabrizio Pasquale

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

5 dicembre 2017

61/17. MEDIA Magazine n. 12 del 2017 (Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2017)


MEDIA Magazine
Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139
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N. 12/17  Dicembre 2017

L’Osservatorio compie 6 anni.
Grazie: a quanti hanno contribuito e creduto nel Progetto: collaboratori (Redazione aperta), partner editoriale (Diritto Avanzatowww.dirittoavanzato.it), sponsor (pubblicità).
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Riceveremo con piacere ogni messaggio, proposta, segnalazione, suggerimento (osservatoriomediazionecivile@gmail.com).
Grazie a tutti!


GIURISPRUDENZA

=> TAR Lazio, 29 agosto 2017, n. 9465

=> Tribunale di Verona, 28 settembre 2017


NORMATIVA E PRASSI




SEGNALAZIONI

MEDIAZIONE:

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Con aggiornamento gratuito al novembre 2017.
L’Autore è stato più volte Presidente di Commissione  presso la Corte d’Appello di Milano per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato.


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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2017
(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it)

29 novembre 2017

60/17. Sanzione disciplinare della censura da parte del CNF: conseguenze per mediatore ed organismo (Osservatorio Mediazione Civile n. 60/2017)

=> TAR Lazio, 29 agosto 2017, n. 9465

A norma dell’art. 16, d.lgs. 28/2010 e degli artt. 4,6, 10, DM 180/2010 – secondo i quali qualora insorgano fatti sopravvenuti che incidano negativamente sulla permanenza dell’iscrizione nel registro dell’organismo di mediazione, il responsabile della tenuta del registro può procedere ad emettere un provvedimento di sospensione ovvero, nei casi più gravi, di cancellazione dal registro a carico dell’organismo di mediazione – va data risposta affermativa al quesito se tra quei fatti (che possono comportare la cancellazione dell’organismo di mediazione dal registro) debba ricomprendersi l’ipotesi della perdita, in capo a uno dei mediatori inseriti nell’elenco predisposto dall’organismo stesso, dei requisiti di onorabilità.

La doglianza con cui si deduca, in ragione dell’assenza di una previsione esplicita in tal senso, l’illegittimità della cancellazione dall’elenco dei mediatori a seguito dell’irrogazione della sanzione disciplinare della censura, è infondata: si tratta, infatti, di una diretta conseguenza della perdita del requisito di onorabilità, che impedisce al mediatore di continuare a svolgere il suo incarico.

Non può essere condivisa la doglianza con cui si lamenti l’irragionevolezza e l’iniquità della cancellazione dall’elenco dei mediatori rispetto all’irrogazione della sanzione disciplinare della censura da parte del Consiglio nazionale forense in quanto, in ipotesi, contrastanti con l’art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (secondo il quale ogni persona ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo), nonché difettandone la necessaria proporzione che deve intercorrere tra l’addebito e la sanzione irrogata.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 60/2017

TAR Lazio
Sezione prima
29 agosto 2017
Sentenza n. 9465

Omissis

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3105 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Edoardo Giardino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Adelaide Ristori n. 42;

contro

Ministero della Giustizia, Ministero dello Sviluppo Economico e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Omissis, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Pittori, Elisa Scotti e Michela Urbani, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere dei Mellini 24;
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e Consiglio Nazionale Forense, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– dell’atto del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia Direzione Generale della Giustizia Civile, adottato il 17.1.2017 (m_dg.dag. 0008588.U) avente ad oggetto “Esercizio del potere di controllo e vigilanza sugli organismi di mediazione. Richiesta di chiarimenti”;

– dell’atto del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia Direzione Generale della Giustizia Civile, adottato in data 1.2.2017 – con il quale si dispone la modifica e integrazione del PDG 5.8.2016 di integrazione della -OMISSIS-” – nella parte in cui cancella, quindi, esclude l’avv. -OMISSIS- dall’elenco dei mediatori ivi elencato;

per l’annullamento e/o la disapplicazione

– del D.M. n. 180/2010, così come aggiornato con le successive modifiche del D.M. n. 145/2011 e del D.M. n. 139/2014 – quindi altresì per l’annullamento e/o la disapplicazione dei predetti D.M. n. 145/2011 e n. 139/2014 – incluso l’art. 4, comma 3, lett. c), incluso il punto d. e, ove occorrer possa, inclusi i seguenti articoli: art. 8, comma 1; art. 4, commi 1-2-3; art. 4, comma 3, lettere a)-b)-c); art. 5; art. 6, incluso il comma 2, lett c); art. 8; art. 10; se intesi e/o ritenuti contrari alle pretese fatte valere dalla ricorrente;

nonché, ove occorrer possa, del PDG 4.11.2010 e del PDG 5.8.2016, così come rievocati dal suddetto e quivi impugnato atto del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia Direzione Generale della Giustizia Civile, dell’1.2.2017 e della cui esistenza la ricorrente è venuta a conoscenza in data 1.2.2017;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Ministero dello Sviluppo Economico, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Omissis;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza cautelare n. 2289/2017;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2017 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso a questo Tribunale, la ricorrente, premesso di esser stata sottoposta a procedimento disciplinare da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, conclusosi con l’irrogazione della sanzione della censura, disposta con sentenza n. -OMISSIS- dal Consiglio Nazionale Forense, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, i provvedimenti indicati in epigrafe.

In particolare, dopo avere ripercorso la normativa in tema di requisiti necessari per assolvere il ruolo di mediatore, nonché la disciplina di cui al decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010 n. 180, recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione, chiedeva l’annullamento degli atti che avevano disposto la sua cancellazione dall’elenco dei mediatori dell’organismo “-OMISSIS-”, nonché, se necessario, l’annullamento e/o la disapplicazione delle pertinenti disposizioni del citato decreto ministeriale.

2. Il gravame è affidato ai seguenti motivi:

I – Violazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 28/2010. Violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 58/1998. Violazione degli artt. 4-6-10 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 180/2010. Violazione degli artt. 3 e 97 della Cost. Violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Violazione dell’art. 22 del Codice Deontologico forense. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, illogicità e difetto motivazionale, travisamento di atti e fatti, erroneità e difetto dei presupposti. Sviamento e manifesta ingiustizia, disparità di trattamento. Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità amministrativa.

La ricorrente, ritenendo che il Ministero non abbia correttamente interpretato il contenuto degli artt. 4 e 6 del d.m. n. 180/2010, evidenzia l’illegittimità dell’espulsione dall’elenco dei mediatori di “-OMISSIS-”, disposta nei suoi confronti. E ciò in quanto ritiene che il decreto, nel contemplare all’art. 4 i criteri per l’iscrizione degli organismi di mediazione (e non già dei mediatori) nel relativo registro istituito presso il Ministero della Giustizia, inclusa l’elencazione dei requisiti di onorabilità, non sancirebbe l’espulsione del mediatore a seguito della sopravvenuta perdita dei predetti requisiti. La misura, a dire della ricorrente, sarebbe altresì in collisione con i principi di proporzionalità e ragionevolezza in quanto eccessivamente dannosa rispetto alla lieve entità del presupposto sanzionatorio.

II – Violazione dell’art. 1 della l. n. 241/1990. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, proporzionalità e ragionevolezza. Violazione dell’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. Violazione della direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.5.2008. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, errata valutazione dei fatti e travisamento dei fatti, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, contraddittorietà ed illogicità motivazionale e decisionale.

La misura dell’espulsione si porrebbe in contrasto con il principio di equità amministrativa, sancito dall’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 1 della Legge n. 241 del 1990. Segnatamente, il provvedimento di espulsione sarebbe, oltre che sproporzionato, iniquo in quanto eccessivamente punitivo rispetto al suo presupposto fattuale.

3. Si sono costituiti il Ministero della Giustizia e le altre amministrazioni evocate in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso siccome infondato.

Il controinteressato avv. Omissis s’è costituito in giudizio ed ha formulato talune eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del gravame.

In particolare, afferma che l’impugnata nota del Ministero della Giustizia prot. 8588 del 17 gennaio 2017 avrebbe natura endoprocedimentale e la successiva nota del Ministero del 1° febbraio 2017 assumerebbe una rilevanza meramente ricognitiva, costituendo una presa d’atto dell’esclusione disposta dalla società di mediazione. Ritiene, inoltre, comunque non sussistente la giurisdizione di questo giudice in ordine alla vicenda contenziosa, essendo oggetto di contestazione le determinazioni assunte dall’organismo di mediazione, sottoposte alla cognizione del giudice ordinario e comunque non impugnate. Eccepisce, altresì, il difetto di integrità del contraddittorio per la mancata notificazione del ricorso alla società di mediazione “-OMISSIS-”, che ha adottato l’esclusione contestata.

4. A seguito della camera di consiglio del 10 maggio 2017, è stata data tutela all’esigenza cautelare rappresentata dalla ricorrente attraverso la fissazione della data di trattazione del merito della controversia, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a..

5. Alla pubblica udienza del 19 luglio 2017, il ricorso è trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, osserva il Collegio che non è fondata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla parte controinteressata.

L’eccezione parte dal presupposto che la posizione della ricorrente sarebbe stata incisa dalla cancellazione dall’elenco dei mediatori operata dall’organismo di mediazione “-OMISSIS-” e non dalle note ministeriali impugnate. Tale affermazione non può essere condivisa, in quanto la cancellazione della ricorrente dall’elenco tenuto dall’organismo di mediazione è stata disposta su impulso del Ministero della giustizia e in ragione dell’esercizio del potere di vigilanza a questi spettante sulla base della normativa primaria e secondaria (quest’ultima ulteriormente sottoposta a critica perché ritenuta esorbitare i limiti ricavabili dalla legge).

Ne consegue la sussistenza giurisdizione di questo giudice, trattandosi di questioni afferenti al corretto esercizio del potere amministrativo riconosciuto al Ministero quale soggetto competente a vigilare sulla corretta tenuta del registro degli organismi di mediazione.

2. Parimenti infondate sono le ulteriori eccezioni in rito presentate dal controinteressato in relazione alla inammissibilità del gravame per carenza di lesività degli atti oggetto di impugnazione.

2.1 Quanto alla nota prot. 8588 del 17 gennaio 2017, ritenuta non impugnabile autonomamente in quanto di natura endoprocedimentale, si osserva che essa, al di là del tenore letterale utilizzato nell’indicare il suo oggetto, ha determinato l’insorgenza di un vero e proprio obbligo in capo alla società di mediazione cui era rivolta di disporre la cancellazione immediata del ricorrente dall’elenco dei propri mediatori (cfr. pag. 1 del provvedimento), non lasciandole alcun margine di analisi o di esercizio di discrezionalità valutativa.

2.2 Del pari, anche la nota ministeriale del 1° febbraio 2017 è un atto impugnabile in quanto non rappresenta una mera presa d’atto dell’intervenuta cancellazione ma costituisce, come anzidetto, l’espressione dell’esercizio del potere ministeriale di verifica della titolarità dei requisiti in capo all’organismo di mediazione e ai mediatori.

2.3 Da ultimo, va respinta anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notificazione dell’atto introduttivo del giudizio alla società -OMISSIS-.

Premesso che la qualità di controinteressato postula una situazione di vantaggio derivante direttamente ed immediatamente dal provvedimento impugnato, non è possibile riscontrare un simile interesse in capo alla menzionata società, per l’assenza di circostanze e/o dati oggettivi atti a comprovare la titolarità in capo alla società in questione di un interesse giuridico qualificato al mantenimento in vita dei provvedimenti impugnati.

3. Nel merito, il ricorso è infondato, alla stregua delle seguenti considerazioni.

Al fine di una migliore analisi della vicenda sottoposta a giudizio, è utile effettuare una breve disamina sul complesso di norme che regolano la materia della iscrizione e tenuta dell’elenco degli organismi di mediazione e dei mediatori.

L’art. 60 della legge 18.6.2009 n. 69 ha introdotto, al comma 1, la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. I principi a cui doveva ispirarsi l’attività governativa, riportati al successivo comma 2, erano così individuati : “a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della Giustizia,, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo ministero… d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia”.

Il Governo provvedeva mediante il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, che contiene tra l’altro una serie di norme volte a garantire l’imparzialità e terzietà del mediatore nell’esercizio delle proprie funzioni (cfr., in particolare, l’art. 3 sulla modalità di nomina del mediatore, gli artt. 9 e 10 sull’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni da questi acquisite durante il procedimento di mediazione nonché l’art. 14, che impone taluni obblighi dichiarativi ed informativi).

L’art. 16 del citato d.lgs. disciplina l’istituzione del registro degli organismi deputati a gestire il procedimento di mediazione e prevede, tra l’altro, che l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti nel registro siano disciplinate con appositi decreti del Ministro della giustizia.

In attuazione della richiamata previsione, è stato emanato il decreto del ministero della Giustizia n. 180 del 2010; di particolare rilievo, ai fini che ne occupano, è la disciplina recata ivi recata agli art. 4, 6 e 10.

L’art. 4, comma 3, del decreto impone al responsabile della tenuta del registro istituito presso il Ministero della giustizia di verificare la presenza di una serie di requisiti in capo al mediatore, tra i quali quelli di onorabilità previsti alla lettera c) del citato comma.

In particolare, per il possesso del requisito dell’onorabilità il mediatore non deve avere riportato: a) condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b) interdizioni perpetue o temporanee dai pubblici uffici; c) misure di prevenzione o di sicurezza; d) sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento.

L’art. 6 dello stesso decreto, rubricato “requisiti per l’esercizio delle funzioni di mediatore”, impone all’organismo di mediazione che richiede l’iscrizione nel registro di allegare l’elenco dei mediatori che si dichiarano disponibili allo svolgimento del servizio, corredando tale elenco, tra l’altro, con una “attestazione di possesso dei requisiti di cui all’articolo 4, comma 3, lettera c)”.

Infine, l’art. 10 prevede che se, “dopo l’iscrizione, sopravvengono o risultano nuovi fatti che l’avrebbero impedita, ovvero in casi di violazione degli obblighi di comunicazione di cui agli art. 8 e 20 e di reiterata violazione degli obblighi del mediatore, il responsabile dispone la sospensione e, nei casi più gravi, la cancellazione dal registro”. Al comma 4 aggiunge che “spetta al responsabile, per le finalità di cui ai commi 1 e 2, l’esercizio del potere di controllo, anche mediante l’acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti, di cui viene curato il relativo recapito, anche soltanto in via telematica, ai singoli organismi interessati”.

In sostanza, qualora insorgano fatti sopravvenuti che incidano negativamente sulla permanenza dell’iscrizione nel registro dell’organismo di mediazione, il responsabile della tenuta del registro può procedere ad emettere un provvedimento di sospensione ovvero, nei casi più gravi, di cancellazione dal registro a carico dell’organismo di mediazione.

3.1 Occorre, quindi, chiedersi se tra quei fatti che possono comportare la cancellazione dell’organismo di mediazione dal registro debba ricomprendersi l’ipotesi della perdita, in capo a uno dei mediatori inseriti nell’elenco predisposto dall’organismo stesso, dei requisiti di onorabilità.

Al quesito deve darsi risposta affermativa.

Dall’analisi testuale e teleologica delle norme sopra richiamate è possibile evincere il principio per il quale la titolarità del requisito della c.d. onorabilità in capo al mediatore inserito nell’elenco dell’organismo che richiede l’iscrizione nel registro deve sussistere durante tutta la titolarità dell’incarico e non solo al momento della richiesta di iscrizione.

In primo luogo, sotto l’aspetto testuale, soccorre la lettura dell’art. 6 del citato decreto, che disciplina i requisiti per “l’esercizio” delle funzioni di mediatore. Tale disposizione, infatti, contiene un espresso richiamo ai requisiti di onorabilità in capo al mediatore di cui all’art. 4, comma 3, lett. c), già previsti ai fini dell’iscrizione nel registro dell’organismo di mediazione.

Oltre al dato letterale, è dalla stessa ratio complessiva delle norme richiamate che si ricava la necessità di prevedere adeguate garanzie a presidio della professionalità, integrità e serietà in capo ai singoli mediatori, sicché sarebbe illogica una lettura delle norme volta a limitare l’obbligo del possesso dei citati requisiti di onorabilità alla sola fase genetica di conferimento dell’incarico di mediazione e non anche durante il suo esercizio.

3.2 In definitiva, il primo motivo di impugnazione, nella parte in cui si deduce, in ragione dell’assenza di una previsione esplicita in tal senso, l’illegittimità della cancellazione della ricorrente dall’elenco dei mediatori a seguito dell’irrogazione della sanzione disciplinare della censura, è infondata e va respinta: si tratta, infatti, di una diretta conseguenza della perdita del requisito di onorabilità, che impedisce al mediatore di continuare a svolgere il suo incarico.

4. Con un secondo gruppo di doglianze, in parte contenute nel primo motivo di impugnazione, oltre che nel secondo dei motivi di ricorso, la ricorrente lamenta l’irragionevolezza e l’iniquità della cancellazione disposta a suo carico, rispetto al presupposto fattuale (l’irrogazione della sanzione disciplinare della censura da parte del Consiglio nazionale forense) che ne ha portato all’adozione.

Sostiene la ricorrente, in particolare, che – alla luce del richiamo ai principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, contenuto nella direttiva 2008/52/CE che disciplina l’istituto della mediazione – le scelte amministrative impugnate si porrebbero in contrasto con l’art. 41 della suddetta Carta, secondo il quale ogni persona ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo.

Inoltre, difetterebbe la necessaria proporzione che deve intercorrere tra l’addebito e la sanzione irrogata.

Anche tali doglianze non possono essere condivise.

4.1 Occorre ricordare, dal punto di vista normativo, che i requisiti per l’esercizio delle funzioni di mediatore non sono stati esplicitati direttamente dal legislatore delegato ma individuati dalla successiva disposizione ministeriale di cui al decreto n. 180/2010. Ciò, tuttavia, non costituisce una ragione di invalidità degli atti gravati, in quanto non sussisteva l’obbligo di prevederne il contenuto nel decreto legislativo n. 28/2010, che ha individuato, in attuazione della legge delega n. 69/2009, una serie di obblighi di astensione e informativi in capo al mediatore, a garanza della sua neutralità, indipendenza e imparzialità.

La disposizione ministeriale, quindi, muovendosi nel solco tracciato dalle citate norme di legge, ha esplicitato quelle condizioni necessarie per l’espletamento delle funzioni di mediatore nel rispetto dei surriferiti canoni, sicché il sindacato di questo giudice va circoscritto all’analisi della eventuale irragionevolezza dei requisiti individuati ovvero alla loro sproporzione rispetto alle attività che il mediatore è chiamato a svolgere.

4.2 Il Collegio non ritiene che sussista la lamentata violazione del principio di equità sopra richiamato, a fronte della previsione di una incompatibilità tra l’esercizio della funzione di mediatore e l’irrogazione di una sanzione disciplinare più grave dell’avvertimento.

Trattasi, infatti, di una previsione del tutto coerente rispetto agli interessi pubblici tutelati attraverso la disciplina della mediazione e confacente all’esigenza di garantire la massima serietà e professionalità di coloro che possono svolgere incarichi di mediazione, che possono ritenersi ragionevolmente lese a fronte di sanzioni disciplinari riportate nel corso della libera professione.

La disposizione in esame, inoltre, è rispettosa anche del principio di proporzionalità, in quanto effettua una opportuna gradazione tra le diverse ipotesi sanzionatorie e consente il mantenimento del requisito di onorabilità nel caso di irrogazione della sanzione dell’avvertimento, vale a dire quando il fatto oggetto di contestazione disciplinare è privo del connotato della gravità (cfr. l’art. 22 del Codice deontologico forense).

4.3 In definitiva, la previsione che l’incarico di mediazione possa essere affidato solo a colui che, nell’esercizio della propria attività professionale, non sia incorso in condotte violative dei canoni deontologici connotate da gravità non appare inficiata neppure dai dedotti vizi di iniquità e carenza di proporzionalità.

5. Alla luce di quanto complessivamente suesposto, il ricorso è infondato e va respinto.

6. La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.