DIRITTO D'AUTORE


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27 novembre 2016

83/16. Voce enciclopedica “Mediazione civile” (Osservatorio Mediazione Civile n. 83/2016)

Mediazione civile (voce)
di Giulio SPINA
AltalexPedia, Altalex, 2016
(voce agg. al 24/11/2016)




1. Premessa
2. La logica di fondo della mediazione
2.1. Conflitto e ripristino della comunicazione
2.2. Dalle posizioni agli interessi
2.3. Centralità delle parti e soluzioni creative
2.4. Principi della mediazione e profili di criticità
3. Inquadramento normativo
3.1. Normativa nazionale
3.2. Normativa europea
3.3. Rapporto tra normativa nazionale ed europea
3.4. Nozione di mediazione alla luce della normativa nazionale
4. Disciplina e funzionamento
4.1. Le quattro ipotesi di mediazione: obbligatoria, demandata, concordata, volontaria
4.2. Mediazione volontaria e non volontaria
4.3. Mediazione concordata
4.4. Ambito di applicazione della mediazione
4.5. Informativa dell’avvocato
4.6. Procedimento di mediazione
4.6.1. Principi generali
4.6.2. Il procedimento in sintesi
4.6.3. Istanza di mediazione
4.6.4. Competenza territoriale
4.6.5. In caso di più istanze
4.6.6. Mancata partecipazione alla mediazione
4.6.7. Proposta conciliativa
4.6.8. Conseguenze della mancata accettazione della proposta
4.6.9. Verbale conciliativo
4.7. Costi e agevolazioni fiscali

Il contributo è consultabile gratuitamente al seguente link:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 83/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

23 novembre 2016

82/16. Mediazione demandata, appello, improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 82/2016)

=> Tribunale di Firenze, 13 ottobre 2016

Il mancato esperimento della mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010, comporta l’improcedibilità della domanda proposta in appello, con la conseguenza che la sentenza di primo grado passa in giudicato (I) (II).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 82/2016

Tribunale di Firenze
Sentenza
13 ottobre 2016

Omissis

La omissis proponeva opposizione avverso il D.I. omissis del g.d.p. di Firenze con il quale la stessa era stata ordinata del pagamento di €756,00, oltre interessi e spese legali, in favore del omissis a titolo di pagamento di servizi di manutenzione di presidi anticendio.
A fondamento dell’opposizione la stessa allegava l’inadempimento del omissis e lamentava di aver sofferto conseguenti danni; chiedeva, pertanto, la revoca del D.I. ed in via riconvenzionale la condanna di omissis al risarcimento dei danni.
Si costituiva omissis, contestando il fondamento dell’opposizione e della domanda riconvenzionale.
Con ordinanza riservata 2-12.11.2012 il g.d.p., rilevata la tardiva iscrizione a ruolo della causa di opposizione, dichiarava con ordinanza l’improcedibilità della stessa.
Avverso tale provvedimento, avente valore sostanziale di sentenza, ha proposto appello omissis, chiedendone l’integrale riforma con accoglimento delle conclusioni già avanzate in primo grado.
Si è costituita omissis, resistendo all’appello, di cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto.
Con provvedimento 4-5.5.2016, comunicato alle parti in pari data, l’ufficio ha disposto esperirsi procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5, II co., D.Lgs. n. 28/2010 e s.m.i., assegnando termine di gg 15 per la presentazione della relativa domanda ad Organismo abilitato.
All’odierna udienza le parti hanno dichiarato di non aver esperito la mediazione, ed è stata rilevata di ufficio l’improcedibilità dell’appello.
La causa è passata quindi in decisione a seguito di discussione orale ex artt. 281 sexies e 352 c.pc..

1) la mediazione delegata – l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 5, II co. D. Lgs. n. 28/2010 e ss.mm.ii.
L’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, anche in fase di appello, sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. D.Lgs. citato).
Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite con l’intervento di soggetto terzo imparziale, non pone problemi di natura costituzionale né appare lesiva dei precetti di cui alla normativa sovranazionale sul diritto di azione e di accesso alla giustizia (Carta di Nizza, CEDU).
Non vi è dubbio infatti che l’intento perseguito – deflazionamento del contenzioso con positivi effetti sotto il profilo della ragionevole durata del processo – giustifichi sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato, il potenziamento degli istituti di definizione delle controversie alternativi al processo, e, dall’altro, la sanzione prevista in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale.
Ne segue, quindi, l’applicazione della sanzione della improcedibilità della “domanda giudiziale”, giusto il disposto della norma citata, laddove, come nel caso di specie, la mediazione non sia stata esperita.
Sul punto è solo da aggiungere, così respingendosi l’odierno rilievo della difesa dell’appellante, che, trattandosi di mediazione demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. II del D. Lgs. citato, e non di mediazione obbligatoria ante causam ai sensi del I comma della medesima disposizione, non è applicabile il meccanismo di sanatoria ivi previsto in caso di mancata eccezione o rilevazione della suddetta omissione entro la prima udienza di trattazione.
Il tutto senza considerare che, in effetti l’odierna udienza è stata quella immediatamente successiva al maturare della causa di improcedibilità.

2) L’oggetto della sanzione di improcedibilità in appello: la originaria domanda giudiziale attorea ovvero l’appello?
Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, occorre chiedersi se la sanzione processuale in questione riguardi direttamente la domanda sostanziale, azionata dall’attrice in primo grado, secondo un’interpretazione senz’altro più lineare sotto il profilo letterale, ovvero l’impugnazione proposta.
Va premesso che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice.
E’ noto che secondo la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l’estinzione del processo (si pensi, con riferimento alla disciplina generale del procedimento di primo grado, all’inosservanza all’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive – artt. 102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L’estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale.  Recita, infatti, l’art. 310, I co. c.p.c. che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”.
In buona sostanza, la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito.
Tale regola, però, non vale in caso di giudizio di appello.
Invero, ai sensi dell’art. 338 c.p.c. “l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”.
Si pensi, ancora, alla sanzione processuale dell’improcedibilità dell’appello prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell’appellante (art. 348, I co. c.p.c.).
E’ pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato (salvo l’esperimento del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello).
Analogo esempio è costituito dalla sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, ove la stessa sia proposta dopo la scadenza dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..
Tale disciplina risponde all’elementare esigenza di porre a carico della parte appellante, che si avvale dei rimedi previsti dall’Ordinamento per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la riforma, l’onere di proporre e coltivare ritualmente il procedimento di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso e gli incombenti necessari.
In sostanza la disciplina codicistica del procedimento di appello evidenzia chiaramente che l’unico soggetto onerato ad attivare e “coltivare” il gravame affinché lo stesso addivenga al suo esito fisiologico è la parte appellante. Solo questa deve porre in essere quegli adempimenti che la legge riconosce indispensabili per la ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione.
In difetto, l’impugnazione è viziata in rito e la sentenza impugnata passa in giudicato.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l’interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce.
Tale approccio metodologico è stato già affermato da questo giudice nella sentenza 30.10.2014, reperibile agevolmente su internet, nella per larga parte analoga materia dell’opposizione a D.I., con soluzione che è stata condivisa da numerose pronunce di merito, e dalla stessa S.C. con la sentenza n. 24629/15 del 7.10-3.12.2015, sia pure, in forza di percorso interpretativo parzialmente diverso.
Deve pertanto ritenersi che nei procedimenti di appello, così come nell’opposizione a D.I. in primo grado, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’impugnazione (o dell’opposizione nel procedimento ex art. 645 c.p.c.) e non come improcedibilità della originaria domanda sostanziale attorea (ovvero della domanda di condanna di cui all’originario ricorso monitorio). E ciò per le evidenziate ragioni sistematiche che, diversamente, porterebbero ad interpretare l’art. 5, II co. D. Lgs citato, in modo incoerente e dissonante con il sistema processuale.
La correttezza di tale soluzione ermeneutica è confermata dagli effetti “abnormi” che si avrebbero adottando la diversa interpretazione.
Quanto sopra vale, non solo, quando appellante è l’originario attore in primo grado, ovvero nell’opposizione a decreto ingiuntivo il creditore opposto, attore in senso sostanziale, ma anche nel caso contrario, quando cioè la parte che appella sia il convenuto del giudizio di prime cure, ovvero l’opponente nel giudizio ex art. 645 c.p.c. (convenuto sostanziale), come nella fattispecie.
Nel primo caso sarebbe evidente l’irrazionalità della diversa soluzione che, individuando l’oggetto dell’improcedibilità nell’originaria domanda sostanziale proposta, avrebbe come effetto quello, in caso di omesso esperimento della mediazione, di porre nel nulla una sentenza sfavorevole allo stesso appellante (originario attore) per una omissione imputabile al medesimo. Il tutto con l’innegabile vantaggio di poter riproporre la medesima domanda sostanziale in nuovo giudizio di primo grado, con, di fatto, “riapertura” dei termini decadenziali assertivi e probatori e conseguimento di nuove ed ulteriori chanches di ottenere una pronuncia di merito favorevole.
In caso invece di sentenza favorevole all’originario attore, e quindi appellata dal convenuto in primo grado, si verrebbe poi a porre a carico del primo, parte appellata, oneri del tutto contrastanti con i principi generali del processo di appello (artt. 338, 348, I co. c.p.c.).
In sostanza l’appellato, titolare della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, sarebbe onerato di esperire la mediazione al fine di conservare l’efficacia della sentenza di primo grado ad egli, in ipotesi, favorevole, che altrimenti essa sarebbe travolta.
In altre parole si porrebbe a carico dell’appellato l’onere di contribuire a far giungere il processo di impugnazione al suo esito fisiologico, e cioè alla rivalutazione della decisione di prime cure, attività rispetto alla quale il medesimo non ha certo interesse. Si verrebbe così a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario idoneo al giudicato sostanziale, la sentenza di primo grado, già definitivamente emessa, ancorché sub judice. Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non avrebbe uguali nell’ordinamento processuale.
Che tale totale sovvertimento dei principi generali del processo possa dirsi compiuto a mezzo della novellazione di una legge speciale (DL n. 69/13, conv. nella L. 98/13, con cui è stato modificato l’art. 5 del D. Lgs. n. 28/2010, in materia di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie) appare, in effetti, incredibile.
Ciò costituisce indice sicuro dell’erroneità della mera interpretazione letterale di tale disposizione.
In conclusione, va quindi affermato che, nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n. 69/13, conv. nella L. 98/13, e così come nella affine materia del giudizio di primo grado nella opposizione a decreto ingiuntivo, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, non può che intendersi nel senso di improcedibilità dell’appello, ovvero dell’opposizione a D.I., con le indicate conseguenze di legge.
Va pertanto dichiarata l’improcedibilità dell’appello proposto da omissis
Resta assorbita ogni altra questione.

3) Spese di lite
Considerata la complessità e novità della questione e la circostanza che la stessa è stata rilevata di ufficio, si impone la integrale compensazione delle spese del grado.

4) il pagamento di ulteriore contributo unificato
L’Art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228/2012 prevede che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice da’ atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».
L’Art. 1 comma 18 recita poi che tale disposizione si applica “ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Poiché la legge è entrata in vigore il 1.1.2013, ne segue che la suddetta disposizione trova applicazione per i “procedimenti” iniziati dopo il 31.1.2013, come nella fattispecie (la notifica dell’atto di appello è dell’8.5.2013).

PQM

Visti gli artt. 281 sexies e 352 c.p.c. Il Tribunale di Firenze, III sezione civile in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni altra istanza respinta: dichiara l’improcedibilità dell’appello; compensa le spese del grado; dichiara la sussistenza dei presupposti per porre a carico di omissis ed in favore dell’Erario il pagamento di ulteriore somma pari a quella dovuta a titolo di contributo unificato per l’impugnazione; manda alla Cancelleria per quanto di competenza.

Il Giudice
dott. Alessandro Ghelardini

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

18 novembre 2016

81/16. ATTI del IV Convegno Nazionale “Arbitrato e Mediazione Civile” (Osservatorio Mediazione Civile n. 81/2016)

IV° Convegno Nazionale
“Arbitrato e Mediazione Civile”

(valide soluzione alle liti e un’opportunità professionale)



Torino, 21 ottobre 2016

Con il plauso del signor Ministro della Giustizia
On. dott. Andrea Orlando


RELAZIONI SU: MEDIAZIONE CIVILE (in ordine alfabetico per Relatore)

CORTESE, Mediazione e giudizio d’appello
(Presidente di sezione della Corte d’Appello di Torino)
Sintesi della relazione esposta in occasione del IV Convegno nazionale Arbitrato e mediazione civile, 21.10.2016, Torino, organizzato da Arbimedia
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DI CAPUA, Rapporto tra mediazione delegata e processo: ruolo della giurisprudenza
(Giudice del Tribunale di Torino – Prima Sezione Civile)
Indice: 1. Generalità sulla mediazione delegata 2. Il tentativo di conciliazione e la mediazione delegata  3. Gli accorgimenti per stimolare l’accordo nell’ambito della mediazione delegata 4. Alcuni dei (numerosi) dubbi interpretativi sulla mediazione
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LALICATA, Il mediatore civile, come esercente di un servizio di pubblica necessità
La relazione è stata esposta in occasione del IV Convegno nazionale Arbitrato e mediazione civile, 21.10.2016, Torino, organizzato da Arbimedia
--> CONTRIBUTO INTEGRALE (link a La Nuova Procedura Civile)

SPINA, Amministrazione pubblica e mediazione civile: presupposti normativi, orientamenti giurisprudenziali e spunti di riforma
(Dottore di ricerca, coordinatore di redazione “La Nuova Procedura Civile”; Dirett. Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile)
Sommario: 1. Inquadramento normativo – 2. Perimetrazione applicativa: in quali controversie una p.a. può essere parte in mediazione? – 3. Peculiarità e difficoltà pratiche – 3.1. Natura dell’istituto – 3.2. Difficoltà di ordine giuridico/procedurale – 3.3. Conseguenze del comportamento tenuto in mediazione – 4. Considerazioni conclusive – 4.1. Spunti di riforma e progetti pratici
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RELAZIONI SU: ARBITRATO (in ordine alfabetico per Relatore)

ARMANDOLA, Durata dei procedimenti e rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria
Avvocato, è Partner dello studio Pavia e Ansaldo dal 2010 e svolge la sua attività principalmente presso la sede di Milano; assiste clienti italiani e stranieri nel contenzioso ordinario e arbitrale, interno e internazionale, sia in arbitrati ad hoc sia in arbitrati amministrati da istituzioni italiane o straniere (inter alia, Camera Arbitrale di Milano, International Chamber of Commerce, Singapore International Arbitration Centre), tanto come difensore quanto come arbitro. I settori di cui si occupa sono quelli del diritto commerciale (in particolare contratti del commercio internazionale), societario, fallimentare, della concorrenza sleale e della diffamazione in sede civile. È altresì iscritta nella lista degli arbitri nominabili dalla Camera di Commercio Svizzera in Italia ed è membro dell’International Bar Association (IBA).
--> CONTRIBUTO INTEGRALE (link a La Nuova Procedura Civile)

OLIVA, La mancata diffusione dell’arbitrato in Italia e le nuove procedure arbitrali
La relazione è stata esposta in occasione del IV Convegno nazionale Arbitrato e mediazione civile, 21.10.2016, Torino, organizzato da Arbimedia
--> CONTRIBUTO INTEGRALE (link a La Nuova Procedura Civile)

ZIMMITTI, Brevi considerazioni sull’arbitrato in Italia
(Avvocato cassazionista in Milano. Partner dello Studio CHIOMENTI nel dipartimento contenzioso e arbitrati dal 2011, svolge l’attività di avvocato ed arbitro. Ha partecipato in qualità di relatore a numerosi seminari in materia di arbitrato in Italia e all’estero. Indicato nel 2014 quale esperto italiano in “arbitration law” dalla guida legale “Global Law Experts”. Inserito nella “List of arbitrators” della HKIAC (Camera Arbitrale di Hong Kong).
--> CONTRIBUTO INTEGRALE (link a La Nuova Procedura Civile)

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 81/2016

16 novembre 2016

80/16. Decreto ingiuntivo e mediazione obbligatoria: improcedibilità dell’opposizione e definitiva esecutività del decreto ingiuntivo (Osservatorio Mediazione Civile n. 80/2016)

=> Tribunale di Vasto, 30 maggio 2016

L’onere di attivare la procedura di mediazione, sanzionato a pena di improcedibilità (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), deve gravare sulla parte processuale che, con la propria iniziativa, ha provocato l’instaurazione del processo assoggettato alle regole del rito ordinario di cognizione. Nel procedimento monitorio, tale parte si identifica nel debitore opponente, che, quindi, è titolare dell’onere di rivolgersi preventivamente al mediatore. In caso di inottemperanza a detto onere, sarà dunque l’opponente a subire le conseguenze della propria inerzia, sia sotto il profilo della declaratoria di improcedibilità della domanda formulata con l’atto di opposizione, sia della conseguente acquisizione di definitiva esecutività del decreto ingiuntivo opposto (II). La tesi qui sostenuta: è coerente con le finalità deflattive sottese alla normativa sulla mediazione (si incoraggia la desistenza dell’opponente e l’abbandono della lite eventualmente promossa, portando fuori dalla sede processuale controversie, altrimenti assoggettate alla disciplina del rito ordinario di cognizione); ha il pregio di evitare le illogiche conseguenze dell’impostazione avversaria che, nell’affermare l’improcedibilità della domanda monitoria e la necessaria revoca del decreto ingiuntivo, produce come effetto quello di cancellare attività procedurali che il creditore opposto si troverà a dovere riproporre, con ulteriori dispendio di tempo e di risorse pubbliche (III); disincentiva, in funzione deterrente, la prosecuzione di opposizioni strumentali e dilatorie.




Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 80/2016

Tribunale di Vasto
Sentenza
30 maggio 2016

Omissis

Con decreto ingiuntivo n. omissis, il Tribunale di Vasto ingiungeva a omissis di pagare, in favore di omissis, la somma di € 6.000,00 oltre interessi e accessori di legge.
Con atto di citazione ritualmente notificato, i debitori ingiunti proponevano opposizione avverso il menzionato decreto, ai sensi dell’art. 645 c.p.c.
Nel corso del procedimento, con ordinanza del 13.07.2015, il giudice istruttore, ritenuto che la natura puramente documentale della causa suggerisse il ricorso a soluzioni amichevoli della lite, disponeva – ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D. Lgs. n. 28/10 – l’esperimento del procedimento di mediazione.
Alla successiva udienza del 3.3.2016, le parti dichiaravano di non aver attivato la procedura di mediazione (senza, peraltro, illustrare le motivazioni di tale decisione) e chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.

È pacifico che nessuna delle parti in causa ha attivato la procedura di mediazione, con ciò contravvenendo a quanto disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10. Non vi è dubbio, pertanto, che l’inosservanza delle disposizioni dettate con l’ordinanza del 13.07.2015 abbia determinato la sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda, ponendo una questione pregiudiziale che assume valore dirimente rispetto allo scrutinio nel merito delle argomentazioni difensive delle parti. Trattandosi di una opposizione a decreto ingiuntivo, il tema che questo giudice è chiamato ad affrontare concerne l’individuazione della parte sulla quale grava l’onere di attivazione della procedura di mediazione e le ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.
Sul tema si contrappongono due diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo indirizzo, che ha ricevuto anche l’avallo di un pronunciamento della Corte di Cassazione (cfr., Cass., 03.12.2015, n. 24629), in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/10 grava sulla parte opponente. La mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilità della opposizione e la definitività del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l’incontrovertibilità tipica del giudicato (cfr., ex plurimis, Trib. Prato, 18.07.2011; Trib. Rimini, 05.08.2014; Trib. Siena, 25.06.2012; Trib. Bologna, 20.01.2015; Trib. Firenze 30.10.2014; Trib. Firenze, 21.04.2015; Trib. Chieti, 08.09.2015, n. 492).
Tale interpretazione si fonda sull’assunto secondo il quale è l’opponente, e non l’opposto, ad avere interesse acché proceda il giudizio di opposizione diretto alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile, altrimenti, di divenire definitivamente esecutivo; è, dunque, l’opponente a dovere subire le conseguenze del mancato o tardivo esperimento del procedimento di mediazione delegata. Argomentando in senso contrario, si introdurrebbe una sorta di improcedibilità postuma della domanda monitoria e si finirebbe col porre in capo al creditore ingiungente l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò sconfessando la natura stessa del giudizio di opposizione quale giudizio eventuale, rimesso alla libera scelta dell’ingiunto.
La Suprema Corte, nell’unico precedente di legittimità allo stato noto, ha accreditato la tesi appena esposta, partendo dalla considerazione che la disposizione di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/10 debba essere interpretata conformemente alla funzione deflattiva che il legislatore ha inteso attribuire all’istituto della mediazione e che mira a rendere il ricorso al processo la extrema ratio di tutela, cioè l’ultima possibilità dopo che tutte le altre sono risultate precluse. In tale prospettiva, l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve logicamente allocarsi a carico della parte che ha interesse al processo, al fine di indurla a coltivare una soluzione alternativa della controversia che riconduca il ricorso alla tutela giurisdizionale nella descritta logica di residualità.
In base ad una seconda soluzione interpretativa, che valorizza il carattere unitario del giudizio di opposizione rispetto alla fase sommaria di richiesta e ottenimento del decreto e che ha trovato affermazione nella giurisprudenza di merito anche successivamente alla pronuncia della Corte di Cassazione (cfr., ex plurimis, Trib. Firenze, ord. 17.01.2016; Trib. Busto Arsizio, 03.02.2016), in caso di omesso esperimento del tentativo di mediazione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto non l’opposizione, bensì la domanda sostanziale proposta in via monitoria. Ne consegue che l’onere di promuovere la mediazione sarebbe a carico del creditore opposto, atteso che questi riveste la natura di parte attrice titolare della pretesa azionata in giudizio e che la domanda giudiziale cui si riferisce l’art. 5 D.Lgs. n. 28/10 è la domanda monitoria e non già l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa. In caso di inerzia del creditore, deve pertanto disporsi la revoca del decreto ingiuntivo, posto che il mancato perfezionamento della condizione di procedibilità della domanda monitoria (e non dell’opposizione) impedisce il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo.
Nella diversità delle opinioni espresse sul punto, ritiene questo giudice di condividere l’assunto dei sostenitori del primo orientamento interpretativo, per le ragioni di seguito illustrate.
Nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il legislatore ha inteso escludere dall’ambito di operatività della norma dettata dall’art. 5, comma 1 bis, D.lgs. n. 28/10 le ipotesi in cui la domanda venga introdotta nelle forme del procedimento monitorio. Premesso che allo speciale procedimento d’ingiunzione può essere fatto ricorso solo quando la domanda abbia ad oggetto un diritto di credito che, per la natura o per l’oggetto o per la particolare attendibilità della prova offerta, rende più semplice e più probabile il giudizio di accertamento sulla effettiva esistenza del diritto, la logica sottesa alla scelta legislativa di circoscrivere il perimetro applicativo della mediazione obbligatoria va rinvenuta nella volontà di differenziare i casi in cui la domanda, quand’anche relativa ad una delle materie elencate nell’art. 5, comma 1 bis, veicoli in giudizio un diritto di credito che abbia quelle caratteristiche tali da poter essere tutelato in via monitoria, dai casi in cui la stessa domanda riguardi un credito privo dei predetti requisiti, prevedendo una condizione di procedibilità solo per questi ultimi, ma non anche per i primi.
Stando così le cose, non è pensabile che la ratio della descritta differenziazione normativa venga meno per il semplice fatto che il debitore ingiunto (che ha interesse ad ottenere un accertamento giudiziale della insussistenza del credito vantato dalla controparte) assuma l’iniziativa processuale tesa ad ottenere la caducazione del titolo nelle more conseguito dal creditore, facendo in tal modo scattare a posteriori una condizione di procedibilità a cui la domanda monitoria non era inizialmente assoggettata.
Poiché per tutta la durata del giudizio di opposizione, e almeno fino a quando non interviene la sentenza che definisce il procedimento, permangono inalterati i peculiari requisiti del diritto di credito fatto valere in sede monitoria (e che hanno già costituito oggetto di una cognizione sommaria, esitata in una valutazione positiva, da parte del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo), è corretto farne derivare la conseguenza che i presupposti che giustificano la decisione legislativa di escludere la condizione di procedibilità per la domanda monitoria continuino a sussistere anche nella fase di opposizione e, in particolare, anche dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e/o sospensione della provvisoria esecuzione.
Nel silenzio della norma, è, dunque, più logico pensare che la condizione di procedibilità non riguardi la domanda monitoria iniziale (domanda in senso sostanziale) avanzata dal creditore ingiungente, bensì l’opposizione (domanda in senso formale) formulata dal debitore ingiunto con la notifica dell’atto di citazione.
Intesa in questo senso, la condizione di procedibilità assolve anche ad una funzione dissuasiva di opposizioni pretestuose. Colui che ha interesse e motivi per contestare l’esistenza di un credito (che - si badi bene – non è un credito qualsiasi, ma è assistito dai particolari requisiti e presupposti dettati dall’art. 633 c.p.c.), prima di far valere le proprie ragioni in sede giudiziale, avrà – dunque – l’onere di tentare l’esperimento della procedura di mediazione, come occasione privilegiata di cui il debitore può usufruire per comporre amichevolmente la controversia e cogliere una chance di soluzione del conflitto alternativa alla tutela giurisdizionale che intende chiedere. In tal modo, si potrà, da un lato, disincentivare, in funzione deterrente, la prosecuzione di opposizioni strumentali e dilatorie e, dall’altro, si potrà, in funzione deflattiva, portare fuori dalla sede processuale controversie, altrimenti assoggettate alla disciplina del rito ordinario di cognizione, che possono risolversi con un accordo amichevole. La correttezza della tesi qui sostenuta è corroborata dalla considerazione che il processo ordinario (sul quale il legislatore ha inteso intervenire in termini deflattivi) e in cui si inserisce la condizione di procedibilità, si è instaurato non per iniziativa del creditore ingiungente (il quale si è avvalso di una speciale procedura sommaria per procurarsi il titolo giudiziale del quale dispone), ma su impulso del debitore ingiunto, che non solo ha l’interesse a coltivare la fase di giudizio che ha egli stesso intrapreso, al fine di ottenere la caducazione del titolo giudiziale in possesso della controparte, ma ha anche l’onere di far proseguire il giudizio, per evitare che questo si estingui per inattività delle parti e che, quindi, in applicazione dell’art. 653 c.p.c., il decreto ingiuntivo, che non ne sia già munito, acquisti efficacia esecutiva.
Il principio che, in altri termini, il legislatore ha voluto affermare è quello secondo cui l’onere di attivare la procedura di mediazione, sanzionato a pena di improcedibilità, deve gravare sulla parte processuale che, con la propria iniziativa, ha provocato l’instaurazione del processo assoggettato alle regole del rito ordinario di cognizione. Nel procedimento monitorio, tale parte si identifica nel debitore opponente, che – quantunque convenuto in senso sostanziale – risulta essere attore in senso formale, per avere introdotto la fase del giudizio ordinario successiva a quella monitoria e, come tale, è titolare dell’onere di rivolgersi preventivamente al mediatore. In caso di inottemperanza a detto onere, sarà dunque proprio l’opponente a subire le conseguenze della propria inerzia, sia sotto il profilo della declaratoria di improcedibilità della domanda formulata con l’atto di opposizione, sia della conseguente acquisizione di definitiva esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
La tesi qui sostenuta non solo è coerente – come innanzi già chiarito – con le finalità deflattive sottese alla normativa sulla mediazione civile e commerciale, dal momento che incoraggia la desistenza dell’opponente e l’abbandono della lite eventualmente promossa, ma ha, altresì, il pregio di evitare le illogiche conseguenze dell’impostazione avversaria, che – nell’affermare l’improcedibilità della domanda monitoria e la necessaria revoca del decreto ingiuntivo – produce come effetto quello di cancellare attività procedurali che il creditore opposto si troverà a dovere riproporre, con ulteriori dispendio di tempo e di risorse pubbliche.
Coerentemente con tale ultima considerazione, è condivisibile l’affermazione di una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Rimini, ord. 05.08.2014) secondo cui “ritenere, al contrario, che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo importerebbe un risultato “eccentrico” rispetto alle regole processuali proprie del rito, in quanto si porrebbe in capo all’ingiungente opposto l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, in contrasto con l’impostazione inequivoca del giudizio di opposizione come giudizio eventuale rimesso alla libera scelta dell’ingiunto”.
Sulla scorta delle osservazioni finora esposte, deve concludersi che, nel caso di specie, l’onere dell’esperimento della mediazione delegata da questo giudice spettasse a omissis, in qualità di debitori ingiunti e successivamente opponenti. L’inerzia serbata nell’attivazione della procedura si ripercuote in danno della procedibilità della domanda veicolata dall’atto di citazione introduttivo della presente fase di opposizione, con la conseguenza che – per effetto della declaratoria di improcedibilità della opposizione – il decreto ingiuntivo opposto deve essere dichiarato definitivamente esecutivo.
Quanto al regime delle spese processuali, l’assoluta novità della questione, l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto e la natura meramente processuale delle ragioni di reiezione della domanda, costituiscono eccezionali motivi che giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

PQM

Il Tribunale di Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda definitivamente pronunciando sulla opposizione omissis, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione, così provvede: dichiara improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo in epigrafe indicata; dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo omissis; dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Dispone che la presente sentenza sia allegata al verbale di udienza.
Così deciso in Vasto, il 30.05.2016.
Giudice dott. Fabrizio Pasquale

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

11 novembre 2016

79/16. Mediazione obbligatoria: improcedibilità della domanda se l’istanza di mediazione è vaga e non viene ivi qualificata alcuna somma (Osservatorio Mediazione Civile n. 79/2016)

=> Giudice di Pace di Torre Annunziata, 28 settembre 2016, n.582

Con riferimento all’ art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, va affermato che qualora l’istanza di mediazione sia totalmente vaga e non corrisponda alle richieste di cui in citazione, limitandosi la parte ad enunciare vagamente il proprio diritto ma senza precisare petitum non qualificando alcuna somma, essendo in tal modo l'atto di citazione difforme dalla preliminare richiesta, ci si trova di fronte ad una domanda totalmente diversa, per cui la stessa è sfornita di procedibilità (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 79/2016

Giudice di Pace di Torre Annunziata
28 settembre 2016
Sentenza n.582

Omissis

Preliminarmente si dichiara la domanda improcedibile.
Osserva il giudice che in tema di controversie nascenti da contratti bancari è condizione di procedibilità l'esperimento ex art. 5 d. lgs 28/ 10 del tentativo di conciliazione innanzi ai competenti organi.
Parte attorea ben conosce il proprio onere, tanto è vero che assume di aver espletato il detto mezzo e che la convenuta non vi partecipava.
Il giudice agli atti rinviene sia l'istanza di mediazione sia il verbale negativo, tuttavia osserva che l’istanza di mediazione è totalmente vaga e non corrisponde alle richieste di cui in citazione, infatti nell'atto preliminare l'attrice si limita ad enunciare vagamente il proprio diritto ma non precisa il petitum non quantificando alcuna somma.
E' chiaro che in tal modo essendo l'atto di citazione difforme dalla preliminare richiesta, ci si trova di fronte ad una domanda totalmente diversa, per cui la stessa è sfornita di procedibilità.
Avendo l'attrice ritenuto di aver adempiuto alla condizione di procedibilità, il giudice non può
concedere alcun termine come avrebbe dovuto in assenza totale dell'avvio del procedimento di mediazione.
Spese del giudizio compensate, sussistendo motivi di equità.

PQM

Il Giudice di Pace di Torre Annunziata, dr. Raffaele Ranieri, pronunciandosi sulla domanda in atti, così decide: dichiara la domanda improcedibile; spese compensate; sentenza esecutiva, ex lege.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

9 novembre 2016

78/16. Amministrazione pubblica e mediazione civile: presupposti normativi, orientamenti giurisprudenziali e spunti di riforma (Osservatorio Mediazione Civile n. 78/2016)

 Amministrazione pubblica e mediazione civile:
presupposti normativi, orientamenti giurisprudenziali e spunti di riforma

di Giulio SPINA


Sommario: 1. Inquadramento normativo – 2. Perimetrazione applicativa: in quali controversie una p.a. può essere parte in mediazione? – 3. Peculiarità e difficoltà pratiche – 3.1. Natura dell’istituto – 3.2. Difficoltà di ordine giuridico/procedurale – 3.3. Conseguenze del comportamento tenuto in mediazione – 4. Considerazioni conclusive – 4.1. Spunti di riforma e progetti pratici


Avvertenza
Il presente contributo riprende schematicamente – con aggiornamenti – la relazione esposta dall’Autore in occasione del IV Convegno Nazionale “Arbitrato e Mediazione Civile”, Torino, 21.10.2016. Per praticità di lettura, dato l’impianto schematico del contributo, si è scelto di riportare in rosso tutti i riferimenti identificativi della normativa e della giurisprudenza richiamata, nonché di collocare in riquadri ad hoc i passi giurisprudenziali citati.




Il contributo è integralmente consultabile, gratuitamente, al seguente URL:


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 78/2016

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