DIRITTO D'AUTORE


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27 maggio 2016

41/16. Il mediatore non precisa nulla nel verbale: rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione effettiva, nozione e conseguenze (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2016)

=> Tribunale di Vasto, 23 aprile 2016

Il rifiuto di partecipare alla mediazione deve considerarsi non giustificato in caso sia di mancanza di qualsiasi dichiarazione della parte sulla ragione del diniego a proseguire il procedimento, sia di motivazioni inconsistenti o non pertinenti rispetto al merito della controversia (alle parti, infatti, non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dare seguito alla procedura di mediazione).

Il mediatore, nel caso in cui la parte neghi consenso alla prosecuzione del procedimento, è tenuto a precisare nel verbale se la parte si è opposta alla verbalizzazione dei motivi del rifiuto e se, anche all’esito della eventuale sollecitazione da parte del mediatore medesimo, la parte non ha inteso esplicitare le ragioni del proprio dissenso. In caso contrario, non potendo il giudice apprezzare le ragioni che hanno indotto la parte ad interrompere il tentativo di mediazione al primo incontro, il rifiuto deve considerarsi non giustificato, con le relative conseguenze (desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c. e sanzione pecuniaria) (I).

La condanna alla sanzione pecuniaria di cui all’art.8, comma 4-bis d.lgs. 28/2010 scatta anche in caso di rifiuto, al primo incontro, di procedere nella fase di mediazione effettiva (II).

(I) Si veda l’art. 116, comma 2, c.p.c. in Codice di Procedura Civile, La Nuova Procedura Civile, 2016.



Per approfondimenti di veda SPINA, Rifiuto di partecipare alla mediazione effettiva: sì alla sanzione, Altalex, 2016.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2016

Tribunale di Vasto
ordinanza
23 aprile 2016

Omissis

Con ordinanza del 13.07.2015, questo giudice – dopo aver evidenziato e indicato alle parti gli indici di concreta mediabilità della controversia – disponeva, ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D. L.gs. 4 marzo 2010, n. 28, l’esperimento della procedura di mediazione per la ricerca di una soluzione amichevole della lite. In ottemperanza alle statuizioni giudiziali, le parti davano inizio al procedimento, comparendo – entrambe personalmente e con l’assistenza dei rispettivi difensori – al primo incontro, tenutosi in data 30.11.2015, innanzi all’organismo di mediazione prescelto. La procedura, però, non sortiva esito positivo, dal momento che al primo incontro il mediatore prendeva atto della dichiarazione resa dalla parte invitata di non voler proseguire nella mediazione e dichiarava, di conseguenza, chiuso il procedimento.

All’udienza del 03.03.2016, celebratasi in assenza del convenuto, la parte attrice, dopo aver rappresentato l’impossibilità di dare seguito alla procedura di mediazione a causa del rifiuto opposto dalla odierna parte convenuta, chiedeva fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.

Prima di avviare la causa alla fase decisoria, appare opportuno a questo giudicante operare un chiarimento interpretativo sull’individuazione dell’esatto ambito applicativo dell’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs. n. 28/10, precisando che le conseguenze, anche di natura sanzionatoria, previste dalla citata norma non scattano soltanto nel caso di assenza ingiustificata della parte al primo incontro di mediazione, ma operano anche nel distinto ed ulteriore caso in cui la parte presente al primo incontro, esprimendosi negativamente sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, non espliciti le ragioni di tale diniego ovvero adduca motivazioni ingiustificate, in tal modo rifiutandosi di partecipare, immotivatamente, a quella fase del procedimento di mediazione che si svolge all’esito del primo incontro. Ciò, in ragione della dirimente considerazione per cui, quando il citato art. 8 parla di “mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione”, esso deve intendersi riferito non soltanto al primo incontro (che non è altro che un segmento della intera procedura), ma anche ad ogni ulteriore fase del procedimento, ivi inclusa - in primis – quella che dà inizio alle sessioni di mediazione effettiva.
La chiave di lettura della norma che si propugna costituisce il logico e coerente corollario della condivisibile tesi (cfr., sul punto, Trib. Roma, 25.01.2016) secondo cui alle parti non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dare seguito alla procedura di mediazione (addirittura anche nel caso in cui il giudice ne ha disposto l’espletamento – come nella fattispecie in esame – ai sensi dell’art. 5, comma 2, D. Lgs. n. 28/10), dal momento che una siffatta eventualità si presterebbe al rischio di legittimare condotte delle parti tese ad aggirare l’applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, frustrando la finalità stessa dell’istituto, che non è quella di introdurre una sorta di adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma che – invece – consiste nell’offrire ai contendenti “un’utile occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza, in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il Giudice con la sentenza, tenuto anche conto del fatto che quest’ultima può formare oggetto di impugnazione e che, in caso di mancata attuazione spontanea delle statuizioni giudiziali da parte del soccombente, richiede un’ulteriore attività esecutiva, con conseguente allungamento dei tempi e dispendio di denaro” (cfr., in tal senso, Trib. Busto Arsizio, 03.02.2016).
Muovendo, dunque, dal principio per cui sono da considerarsi illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo, e facendo specifico riferimento alle determinazioni assunte dalle parti al termine del primo incontro, deve concludersi che, quando il rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione viene opposto dalla parte attrice/istante in mediazione, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, D. Lgs. n. 28/10 non può considerarsi soddisfatta. Del pari, quando detto rifiuto viene formulato, oltreché dalla parte attrice/istante, anche o soltanto dalla parte convenuta/invitata in mediazione, sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 4 bis, D. Lgs. citato ed, in particolare, per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D. Lgs. n. 28/10 (condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo dovuto per il giudizio) e ricorre, altresì, un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c., nel prosieguo del giudizio.
Occorre, peraltro, precisare che – ai fini dell’adozione dei provvedimenti innanzi richiamati – il rifiuto deve considerarsi non giustificato sia nel caso di mancanza di qualsiasi dichiarazione della parte sulla ragione del diniego a proseguire il procedimento di mediazione, sia nell’ipotesi in cui la parte deduca motivazioni inconsistenti o non pertinenti rispetto al merito della controversia. In tal senso, non potrà – ad esempio – mai costituire giustificato motivo per rifiutarsi di partecipare alla mediazione la convinzione di avere ragione o la mancata condivisione della posizione avversaria, per la evidente contraddittorietà, sul piano logico prima ancora che giuridico, che tale argomentazione sottende, atteso che il presupposto su cui si fonda l’istituto della mediazione è, per l’appunto, che esista una lite in cui ognuno dei contendenti è convinto che egli abbia ragione e che l’altro abbia torto e che il mediatore tenterà di comporre riattivando il dialogo tra le parti e inducendole ad una reciproca comprensione delle rispettive opinioni.

Passando alla disamina del caso di specie, dalla lettura del verbale del primo incontro di mediazione del 30.11.2015, si evince che la parte invitata, sia pure personalmente presente e ritualmente assistita dal proprio avvocato, “ha negato il proprio consenso alla prosecuzione del procedimento, ai sensi dell’art. 8, primo comma, del D. Lgs. n. 28/10”. Nessuna indicazione, neppure sommaria, è riportata nel verbale in merito alle eventuali ragioni che hanno indotto la parte invitata a non voler iniziare la procedura di mediazione. Né il mediatore ha precisato (com’era, invece, suo preciso dovere fare) se la parte si è opposta alla verbalizzazione dei motivi del rifiuto ovvero se, anche all’esito della eventuale sollecitazione da parte del mediatore medesimo, la stessa non ha inteso esplicitare le ragioni del proprio dissenso. L’omissione di tale rilevante aspetto preclude a questo giudicante ogni valutazione in ordine alla sussistenza di possibili profili di giustificatezza del rifiuto opposto da --- alla prospettiva di proseguire nel procedimento di mediazione, di talchè, non potendo apprezzare le ragioni che hanno indotto quest’ultima ad interrompere il tentativo di mediazione al primo incontro, il rifiuto deve considerarsi non giustificato.
Ne consegue che, oltre a poter desumere da detto comportamento preclusivo argomenti di prova ex art. 116, secondo comma, c.p.c. nel prosieguo del giudizio, deve pronunciarsi a carico di --- la condanna al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 206,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, come conseguenza sanzionatoria della ingiustificata volontà di non prendere parte alla fase del procedimento di mediazione successiva al primo incontro.

In ordine alla tempistica della irrogazione della sanzione pecuniaria in questione, ritiene questo giudice, conformemente ad un diffuso orientamento della giurisprudenza di merito (cfr., in proposito, Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015) che la sanzione ben può essere irrogata anche in corso di causa e in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio, non emergendo dalla lettura dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/10 dati normativi contrari alla propugnata interpretazione.

PQM

Disattesa ogni diversa richiesta, così provvede: condanna la parte convenuta --- al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 206,00, pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, come conseguenza sanzionatoria della ingiustificata volontà di non prendere parte alla fase del procedimento di mediazione successiva al primo incontro; fissa, per la precisazione delle conclusioni, che ciascuna parte dovrà redigere su separato atto da depositare telematicamente, la successiva udienza del 23/01/2017, ore 09.30; manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

25 maggio 2016

40/16. Mediazione demandata: sì alla partecipazione anche di parti ulteriori rispetto a quelle che sono in causa (Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2016)

=> Tribunale di Roma, 1 febbraio 2016

Il procedimento di mediazione, caratterizzato dalla informalità (cfr. art.3comma 3 d.lg. n. 28/2010), ben può essere svolto anche con parti ulteriori rispetto a quelle della causa alla quale pertiene il provvedimento di invio in mediazione demandata, fermo restando che nessuna conseguenza negativa può derivare a tali soggetti nel caso di mancata partecipazione (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2016

Tribunale di Roma
Sezione XIII
ordinanza
1 febbraio 2016

Omissis

Considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione conciliativa, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, è sicuramente vantaggiosa per tutte le parti. Anche in considerazione del fatto che il sistema giudiziario verticale non garantisce, a differenza della conciliazione, a causa della possibilità di gravami, la sicurezza della stabilità dell'esito della sentenza (che la parte reputi per sé) soddisfacente.
Inoltre, nel caso di specie, attesa la presenza nella causa di un'Azienda Ospedaliera pubblica, si impone una considerazione di carattere generale.
I soggetti pubblici sono restii a partecipare, pur quando ritualmente convocati, al procedimento mediazione.
Ove mai l'esistenza di una posizione pregiudiziale in tal senso non esista, non sarebbe da aggiungere altro.
In caso contrario vale ricordare che la partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e che proprio in considerazione di ciò non è giustificabile la scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in un danno erariale a seguito della conciliazione. Va infatti considerato che in tale timore è insita un'aporia. A prescindere che esiste la possibilità di un autorevole e rassicurante ausilio nel percorso conciliativo in mediazione, sta di fatto che la legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo (istante) che passivo (convocato), non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l'ente pubblico.
Un pregiudizio in tale senso pertanto costituisce una controsenso.
Sarebbe a dire, infatti, che se una P.A. vuole introdurre una domanda giudiziale in una delle materie di cui all'art. 5 co. 1 bis del d.lg. n. 28/2010, promuove necessariamente il procedimento di mediazione, ma lo fa(rebbe) con la riserva di non accordarsi a prescindere...
Si tratta all'evidenza di un paradossale non possumus, del tutto contrario alla lettera ed alla sostanza della legge, che va in tutt'altra direzione.
Che è quella del raggiungimento di accordi conciliativi, senza alcuna eccezione soggettiva fra soggetti privati e pubblici.
Le P.A. pertanto hanno, in subiecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto.
Fermo restando che potrebbe essere utile procedimentalizzare la condotta del soggetto pubblico.
Vale a dire che il soggetto che è presente in mediazione in rappresentanza della P.A. abbia concordato con chi ha il potere dispositivo dei diritti oggetto di lite, perimetri oggettivi all'interno dei quali poter condurre le trattative.
Peraltro, va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso può esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96 III° c.p.c.) che conseguono ad una condotta deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A.
Alle parti si assegna termine fino all'udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15 decorrente dal 20.4.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell'art. 5 del d.lg. n. 4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del d.lg. n. 4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l'effetto del secondo comma dell'art.5 d.lg. n. 28/2010 come modificato dal D.L.69/2013 è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l'irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa
All'udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l'eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III co. c.p.c.
Il giudice non può, tecnicamente, ordinare la mediazione anche nei confronti delle attrici (figlie del de cuius) della causa RG 24216/09, peraltro assistite dai medesimi avvocati che difendono l'attrice (moglie del de cuius) in questa causa.
Tuttavia è di tutta evidenza la necessità che al procedimento di mediazione partecipino tutte le parti interessate, peraltro nello spirito della proposta omnia formulata proprio dagli avvocati di tali parti.
D'altra parte il procedimento di mediazione, caratterizzato dalla informalità (cfr. art.3 comma 3 d.lg. n. 28/2010), ben può essere svolto anche con parti ulteriori rispetto a quelle della causa alla quale pertiene il provvedimento di invio in mediazione demandata, fermo restando che nessuna conseguenza negativa può derivare a tali soggetti nel caso di mancata partecipazione.

PQM

A scioglimento della riserva che precede: dispone che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell'art.5 comma secondo del d.lg. n. 28/2010, della controversia; invita i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all'art.4, co.3 d.lg. n. 28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona, assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione informa le parti che l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5, co.2 e che ai sensi dell'art.8 d.lg. n. 28/2010 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; oltre che dall'art. 96 III co. c.p.c.; va fissato il termine di gg. 15, decorrente dal omissis, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell'art. 5 del d.lg. n. 28/2010; rinvia all'udienza omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

19 maggio 2016

39/16. Termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione, proroga; domanda tardiva, improcedibilità. Decreto ingiuntivo, mancato esperimento della mediazione: improcedibilità dell’opposizione (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2016)

=> Tribunale di Monza, 21 gennaio 2016, n. 156

L'art.5 d.lgs. 28/2010 dispone che il Giudice, nel caso in cui il procedimento non sia stato espletato, sospende la causa per tre mesi, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Si tratta di un termine ordinatorio, con la conseguenza che la parte a carico della quale è posto l'onere di instaurare il procedimento può ottenere dal giudice una proroga, sempreché depositi tempestivamente l'istanza prima della scadenza del termine stesso. In caso contrario, dal tardivo deposito dell’istanza di mediazione, consegue l’improcedibilità della domanda (I).

Nel giudizio che s'instaura con l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso con riferimento ad una delle materie indicate nell’art.5 d.lgs. 28/2010, l'omessa instaurazione del procedimento di conciliazione entro il termine fissato dal Giudice determina la improcedibilità della domanda formulata con l'atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con comparse di terzi), che è l'atto che ha dato origine al procedimento di opposizione, nel quale l'opponente ha la veste processuale di attore. Ritenere, al contrario, che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo importerebbe un risultato “abnorme” rispetto alle regole processuali proprie del rito, portando inoltre ad un risultato opposto rispetto all'intento deflattivo sotteso all'istituto della mediazione. Deve quindi ribadirsi che il mancato esperimento della mediazione, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, non importa revoca del decreto stesso, ma incide esclusivamente sul procedimento di opposizione da dichiararsi improcedibile. Tale interpretazione ha di recente trovato conferma anche da parte della Suprema Corte (Cass.n. 24629/2015) (I) (II).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2016

Tribunale di Monza
21 gennaio 2016
Sezione I
Sentenza n. 156

Omissis

Orbene, com'è noto il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 aggiornato alla L. 9 agosto 2013, n. 98 all'art. 5 primo comma dispone che “chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1. settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore… L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione…”.
Ai sensi del novellato 2. comma dell'art. 5 l. med. “Fermo quanto previsto dal comma le salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello.
Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.
L'art. 6, infine, stabilisce che “… la durata della mediazione fissandola in mesi tre”.
Orbene, nel giudizio che s'instaura con l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso con riferimento ad una delle materie indicate nel richiamato art. 5 L. Med., l'omessa instaurazione del procedimento di conciliazione entro il termine fissato dal Giudice determina la improcedibilità della domanda formulata con l'atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con comparse di terzi), che è l'atto che ha dato origine al procedimento di opposizione, nel quale l'opponente ha la veste processuale di attore. Non vi è dubbio, infatti, che essendo il decreto ingiuntivo astrattamente idoneo a diventare definitivo (si pensi al caso di mancata opposizione ovvero di estinzione del procedimento di opposizione eventualmente proposto), il mancato verificarsi della condizione di procedibilità costituita dall'instaurazione del procedimento di mediazione, è destinato ad incidere esclusivamente e negativamente sul procedimento di opposizione e non anche sul decreto ingiuntivo i cui effetti, in ossequio ai principi processuali propri di tale procedimento speciale (cui, è bene ricordarlo, la normativa in tema di mediazione non deroga espressamente), divenendo improcedibile il relativo procedimento di opposizione si consolidano e non sono più suscettibili di essere posti in discussione.
Ritenere, al contrario, che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo importerebbe un risultato “abnorme” rispetto alle regole processuali proprie del rito, dal momento che si porrebbe in capo all'ingiungente opposto – già munito di un titolo idoneo a passare in giudicato – l'onere di coltivare il giudizio di opposizione da lui non instaurato al solo fine di garantirsi la salvaguardia del provvedimento monitorio, in contrasto con l'impostazione inequivoca del giudizio di opposizione come giudizio eventuale rimesso alla libera scelta del debitore ingiunto.
Non vi è dubbio, inoltre, che una siffatta ricostruzione porterebbe ad un risultato opposto rispetto all'intento deflattivo sotteso all'istituto della mediazione poiché obbligherebbe la parte (l'opposto) che già è munita di un titolo (il decreto ingiuntivo) che si consolida in caso di estinzione del giudizio (di opposizione) e che, quindi, non è sicuramente interessata alla prosecuzione della lite, di attivarsi anche laddove l'altra parte (l'opponente), non si dimostri più interessata all'esito della stessa (e ciò, come sovente avviene in caso di opposizioni dilatorie, in seguito all'emissione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.).
Deve quindi ribadirsi che il mancato esperimento della mediazione, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, non importa revoca del decreto stesso, ma incide esclusivamente sul procedimento di opposizione da dichiararsi improcedibile.
Tale interpretazione ha di recente trovato conferma anche da parte della Suprema Corte che con la pronuncia del 3 dicembre 2015 nr. 24629 ha statuito che nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la parte su cui grava l'onere di introdurre il percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lgs. 28 del 2010, è la parte opponente: infatti, è proprio l'opponente che ha il potere e l'interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E' dunque sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perchè è l'opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice.
Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà l'opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
Il secondo e ultimo aspetto da esaminare attiene al termine entro il quale il procedimento di mediazione deve essere instaurato a pena di inammissibilità.
L'art. 5 sopra riportato dispone, infatti, che il Giudice, nel caso in cui il procedimento non sia stato espletato, sospende la causa per tre mesi (art. 6) assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Nessun dubbio, circa la natura ordinatoria del termine di quindi giorni assegnato dal Giudice per il deposito della domanda di mediazione.
Conseguentemente la parte a carico della quale è stato posto l'onere di instaurare il procedimento può ottenere dal giudice una proroga sempreché depositi tempestivamente l'istanza prima della scadenza del termine stesso.
È noto, infatti, che i termini ordinatori possono essere prorogati ai sensi dell'art. 154 cod. proc. civ. (in virtù del quale il giudice, prima della scadenza, può abbreviare, o prorogare anche d'ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato) solo a condizione che essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine originario, potendosi ammettere una eventuale ulteriore proroga - sia per l'effetto preclusivo determinato dallo spirare del termine, sia per il contemporaneo verificarsi della decadenza dal diritto di compiere l'attività che ne consegue - subordinatamente alla ricorrenza di motivi particolarmente gravi, (In tal senso tra le innumerevoli sentenze, si vedano Cass. 21 febbraio 2013 nr. 4448 e Cass. 27 novembre 2010 nr. 23227).
Orbene, la domanda di mediazione sarebbe dovuta essere depositata entro e non oltre il 31 luglio 2015; viceversa l'opponente, a carico del quale era stato espressamente posto l'onere di instaurare il procedimento di mediazione (cfr. verbale dell'udienza in data 16 luglio 2015) ha depositato la relativa istanza solo in data 18 novembre 2015 così come emerge dall'analisi del Verbale di Incontro Informativo depositato dall'avvocato di omissis all'udienza del 21 dicembre 2015 con la conseguente improcedibilità dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo omissis il tutto in conformità a quanto eccepito dall'opposta sempre all'udienza del 21 dicembre 2015 (cfr. il relativo verbale).
Il Tribunale, pertanto, non può che dichiarare improcedibile l'opposizione, confermando il decreto ingiuntivo omissis.
A norma dell'art. 91 cod.proc.civ., l'opponente totalmente soccombente, è condannato a rimborsare all'opposta le spese processuali dallo stesso sostenute, nella misura liquidata in dispositivo in ossequio al disposto di cui al Decreto 55 del 2014 senza riconoscere alcunchè per la fase istruttoria che non è stata espletata.
La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva ai sensi dell'art. 282 cod.proc.civ..

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: dichiara improcedibile l'opposizione e per effetto conferma il decreto ingiuntivo omissis; condanna la parte opponente a rimborsare alla parte opposta le spese di lite, che si liquidano in complessivi € 8.030,00 oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali; dichiara la sentenza provvisoriamente esecutiva. Sentenza resa ex articolo 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

16 maggio 2016

38/16. Mediazione obbligatoria e decreto ingiuntivo: il mancato esperimento della mediazione comporta la revoca del decreto ingiuntivo opposto (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2016)

=> Tribunale di Busto Arsizio, 3 febbraio 2016

Questo Giudice è consapevole dell'emissione della sentenza n.24629 del 03/12/2015 della terza sezione civile della Cassazione in materia di mediazione nell'ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ma intende disattenderla, dovendosi invece concludere che per i procedimenti monitori, l’onere della mediazione obbligatoria ex art.5, comma 1 bis, d.lgs. 28/2010 incomba sul creditore opposto, atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l'azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa; ciò a pena della revoca del decreto ingiuntivo opposto, posto che il mancato perfezionamento della condizione di procedibilità della mediazione comporta l'improcedibilità non già dell'opposizione, bensì della domanda monitoria. Con la conseguenza che la mancata attivazione della procedura di mediazione comporta l'improcedibilità della domanda monitoria senza che sia stato possibile esaminare la fondatezza o meno della stessa nel merito (I).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2016

Tribunale di Busto Arsizio
3 febbraio 2016
Sezione III
Sentenza

Omissis

Questo Giudice è consapevole dell'emissione della sentenza n. 24629 del 03/12/2015 della terza sezione civile della Cassazione in materia di mediazione nell'ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ma intende disattenderla per le motivazioni sotto esposte.
In particolare, in detta sentenza la Suprema Corte parte dal principio, sostanzialmente condivisibile, secondo cui "L'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la difficoltà dì individuare il portatore dell'onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l'opposto nel giudizio di opposizione".
Prosegue tuttavia la Corte: "questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l'attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l'onere. Ma in realtà - avendo come guida il criterio ermeneutico dell'interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione- la soluzione deve essere quella opposta."
Partendo dal presupposto che attraverso il ricorso monitorio l'attore abbia scelto la linea deflativa coerente con la logica dell'efficienza processuale e della ragionevole durata del processo, cui si contrappone la scelta dell'opponente di introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore, la Cassazione perviene alla conclusione che su quest'ultimo debba gravare l'onere della mediazione obbligatoria "perché è l'opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga".
Tale orientamento giurisprudenziale risulta, tuttavia, di dubbia compatibilità con il principio costituzionale sancito dall'art. 24 Cost., in quanto appare ricollegare l'onere di intraprendere la mediazione alla scelta della parte di instaurare un giudizio di opposizione avverso un provvedimento reso in assenza di contraddittorio e sulla base di un'istruzione sommaria, quasi come se la mediazione fosse una sorte di sanzione nei confronti di chi agisce in giudizio.
Essa, inoltre, non appare compatibile con la stesso orientamento consolidato dalla Suprema Corte, secondo cui nel giudizio ex art. 645 c.p.c. l'opposto riveste la natura sostanziale di attore e l'opponente di convenuto (Cass. civ., sez. Il, 1710412012, n. 6009), così come non sussiste alcun dubbio in ordine alla unicità del processo in cui confluiscono la fase monitoria e quella dì cognizione che si apre con l'opposizione (Cass. civ., sez. 11, 26/06/2010, n. 14764).
Pertanto, se a norma dell'art. 5, c. 1-bis, del D.Lgs n. 28/2010 e successive modifiche: "chi intende esercitare In giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di (...) contratti bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto (...)" , fermo restando il disposto del comma 4 per i procedimenti monitori, deve concludersi che tale onere incomba sul creditore opposto, atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l'azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa.
Ne consegue che deve disporsi la revoca del decreto ingiuntivo n. omissis emesso il omissis dal Tribunale di Busto Arsizio, posto che il mancato perfezionamento della condizione di procedibilità della mediazione comporta l'improcedibilità non già dell'opposizione, bensì della domanda monitoria.
Deve, infine, respingersi la domanda risarcitoria avanzata dagli opponenti ai sensi dell'art. 96. 1° e 3° comma, C.P.C. in quanto la mancata attivazione della procedura di mediazione ha comportato l'improcedibilità della domanda monitoria senza che sia stato possibile esaminare la fondatezza o meno della stessa nel merito e, d'altro canto, l'individuazione della parte tenuta all'espletamento del predetto incombente e questione controversa in giurisprudenza. Alla soccombenza dell'opposta consegue il suo obbligo di rifondere le spese processuali sostenute dalla controparte nell'importo liquidato in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Busto Arsizio, definitivamente pronunziandosi, cosa dispone: dichiara l'improcedibilità della domanda azionata omissis; revoca il decreto ingiuntivo omissis; rigetta la domanda risarcitoria avanzata dagli opponenti ex art. 96 c.p.c.; condanna l'opposta alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'opponente nell'importo omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

11 maggio 2016

37/16. Mancata partecipazione alla mediazione: la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato ha natura sanzionatoria e va adottata nei confronti di ciascuna delle parti (Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2016)

=> Tribunale di Verona, 12 novembre 2015

Ciascuno dei soccombenti (nella specie gli attori) va condannato al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato ai sensi dell’art.8 comma 5, secondo periodo del d.lgs. 28/2010. Tale condanna ha natura sanzionatoria e va quindi adottata nei confronti di ciascuna delle parti che non abbia partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, a fortiori quando, come nel caso di specie, le loro posizioni non siano inscindibili ed esse possano quindi valutare indipendentemente l’una dall’altra di aderire alla prospettiva conciliativa (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2016

Tribunale di Verona
12 novembre 2015
Sezione III
Sentenza

Omissis

A. srl e L. hanno proposto opposizione davanti a questo Tribunale al decreto in data 08.11.2013 con il quale era stato loro ingiunto, nelle loro rispettive qualità di debitrice principale e di garante, di pagare alla Banca X la somma di euro 491.488,43, oltre agli interessi convenzionali, a titolo di saldo del c/c omissis con annessa apertura di credito, aperto presso la filiale di Peschiera del suddetto istituto di credito.
A sostegno della domanda di revoca, annullamento, declaratoria di nullità e/o inefficacia del decreto opposto gli attori hanno dedotto i seguenti motivi: inidoneità della documentazione allegata al ricorso monitorio a costituire prova scritta del credito ingiunto; illegittimità del recesso operato dall’istituto di credito dai contratti in essere con la A. srl, in quanto fondato su un presupposto non corrispondente al vero; previo il disconoscimento della conformità all’originale dei documenti prodotti in fase monitoria dalla controparte, nullità dei contratti azionati da quest’ultima in quanto non preceduti dall’informativa prescritta per legge, e comunque inadempiuti rispetto all’obbligazione di informare il cliente circa la natura dell’operazione effettuata e all’opportunità della stessa.
La convenuta si è costituita in giudizio resistendo alla domanda avversaria e assumendone l’infondatezza.
Ciò detto con riguardo agli assunti delle parti, la domanda attorea è palesemente infondata e va pertanto va rigettata, stante l’inconsistenza dei motivi addotti a sostegno di essa.
Quanto al primo di essi deve qui ribadirsi che è smentito dalla documentazione allegata al ricorso monitorio, che è costituita dagli estratti conto relativi ad un periodo di più di un anno (doc. 5).
A ciò aggiungasi che in fase di opposizione la convenuta ha integrato la predetta documentazione , producendo gli estratti conto relativi agli anni 2010 e 2011, consentendo cosi ad avere a disposizione gli estratti conto dall’ inizio del rapporto fino alla sua conclusione.
Anche il secondo motivo di opposizione è smentito dalla corrispondenza prodotta da parte convenuta, che dà conto di come effettivamente le trattative tra le parti per la ristrutturazione del debito della società opponente non avessero sortito esito ben prima del recesso della convenuta. A ciò aggiungasi che anche gli eventi successivi a quel momento, come opportunamente evidenziato dalla difesa dell’opposta, confermano che la A. srl in liquidazione aveva abbandonato quella prospettiva, atteso che in data 18.04.2014 aveva presentato proposta di concordato preventivo presso questo Tribunale (doc.4 di parte convenuta).
Quanto infine all’ultimo motivo di opposizione, va innanzitutto condiviso il rilievo, sollevato dalla convenuta, di inammissibilità del disconoscimento operato dagli attori in quanto generico. Parimenti generica però risulta la deduzione attorea circa la pretesa violazione dei obblighi informativi da parte della convenuta, atteso che essa non è stata corredata dalla individuazione dello specifico oggetto della informativa che sarebbe stata omessa, con la conseguenza che non si comprende se essa dovesse consistere in elementi ulteriori rispetto al contenuto, già molto dettagliato, dei contratti prodotti in causa.
Non va infine trascurato che ulteriore elemento di prova sfavorevole agli attori è costituito dalla loro mancata partecipazione al procedimento di mediazione svoltosi in corso di causa, della quale essi non hanno addotto nessuna giustificazione, e che ben può essere valorizzato ai fini della decisione alla luce del disposto dell’art. 8, comma 5 d. lgs. 28/2010.
Venendo alla regolamentazione delle spese di lite, esse vanno poste a carico degli attori opponenti in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.
In particolare il compenso per le fasi di studio, introduttiva e di trattazione può essere determinato assumendo a riferimento i corrispondenti valori medi di liquidazione previsti dal succitato regolamento, incluso in quello per la terza delle predette fasi quello relativo alla assistenza in fase di mediazione. Il compenso per la fase decisionale invece va quantificato in una somma pari al corrispondente valore medio di liquidazione, ridotto del 30 %, alla luce della considerazione che la prima è consistita nel solo deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.. e nella partecipazione ad una udienza, mentre nella fase decisionale le parti hanno ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza.
Sull’importo riconosciuto a titolo di compenso per la fase di merito alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata e di quelle vive, quantificate in euro 73,80 di cui 48,80 per l’avvio della mediazione.
Ciascuno degli attori va anche condannato al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato ai sensi dell’art. 8 comma 5, secondo periodo del d.lgs. 28/2010. Tale condanna infatti, avendo natura sanzionatoria, va adottata nei confronti di ciascuna delle parti che non abbiano partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, a fortiori quando, come nel caso di specie, le loro posizioni non siano inscindibili ed esse possano quindi valutare indipendentemente l’una dall’altra di aderire alla prospettiva conciliativa.

PQM
I
l Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta le domande avanzate dagli attori opponenti e per l’effetto condanna gli stessi, in solido tra loro, a rifondere alla convenuta opposta le spese del presente giudizio, che liquida nella somma di euro 19.699,80, di cui euro 19.626,00 per compenso, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta, e Cpa. Condanna altresì gli attori al versamento all’entrata del bilancio dello Stato della somma di euro 528,00 ciascuno.
Verona 12.11.2015
il Giudice Dott. Massimo Vaccari

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

9 maggio 2016

36/16. Condanna alle spese di lite, avvocato, assistenza prestata nella fase di mediazione, liquidazione del compenso (Osservatorio Mediazione Civile n. 36/2016)

=> Tribunale di Verona, 29 ottobre 2015

In caso di condanna alla rifusione delle spese di lite, per l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione, ai sensi dell’art. 20 del d.m. 55/2014, essendosi trattato di attività con autonoma rilevanza rispetto a quella di difesa svolta nel giudizio, spetta al difensore il compenso da liquidarsi in misura pari al valore medio di liquidazione previsto per le prestazioni di assistenza stragiudiziale.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 36/2016

Tribunale di Verona
29 ottobre 2015
Sentenza

Omissis

Venendo alla regolamentazione delle spese di lite, esse vanno poste a carico dell’attrice opponente in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.
In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i valori medi di liquidazione mentre quello per la fase istruttoria e per la fase decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 30 % alla luce della considerazione che la prima è consistita nella sola partecipazione a due udienze mentre nella fase decisionale parte convenuta ha ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza.
Peraltro nel caso di specie, è possibile applicare l’art. 4, co.8, del D.M. n.55/2014, potendo qualificarsi la difesa della convenuta opposta come “manifestamente fondata”, secondo l’espressione utilizzata da tale norma.
Essa invero è stata introdotta nel D.M. 55/2014 a seguito del recepimento dell’orientamento che il Consiglio di Stato aveva espresso nel parere n.161 del 18 gennaio 2013 sulla bozza di revisione dei parametri predisposta all’epoca dal Ministero. La norma in esame ha quindi previsto quella che lo stesso Consiglio di Stato ha definito, in quella occasione, come un’ipotesi di soccombenza qualificata, riconoscibile ex officio dal giudice, avente la duplice finalità non solo di “scoraggiare pretestuose resistenze processuali” ma soprattutto di “valorizzare, premiandola, l'abilità tecnica dell'avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie” (così testualmente il richiamato parere del Consiglio di Stato e in termini pressoché identici la relazione ministeriale al d.m.55/2014).
Ciò chiarito sulla genesi della disposizione in esame, essa viene in rilievo, ad avviso di questo Giudice, nei casi in cui il difensore di una parte riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti e, specularmente, l’infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e quindi solo grazie al proprio apporto argomentativo. Volendo esemplificare si può pensare ai casi in cui la causa risulti di pronta soluzione sulla base di prove documentali di facile intelligibilità ovvero perché involge questioni giuridiche relativamente semplici o ancora perché non vi è stata contestazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.
Nel caso di specie la difesa della convenuta ha fornito il contributo richiesto dalla norma in esame poiché all’udienza del 19 marzo 2015 si era opposta, con puntuali argomentazioni, alla concessione dei termini ai sensi dell’art. 183 VI comma c.p.c., evidenziando così come la causa fosse matura per la decisione.
Il compenso spettante al difensore della convenuta può pertanto essere aumentato ad euro 13.773,50, ai sensi dell’art. 4, comma 8, d.m.55/2014.
Ancora, al difensore della convenuta spetta il compenso per l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione, ai sensi dell’art. 20 del d.m. 55/2014 essendosi trattato di attività con autonoma rilevanza rispetto a quella di difesa svolta nel presente giudizio. Il relativo importo va determinato in misura pari al valore medio di liquidazione previsto per le prestazioni di assistenza stragiudiziale (euro 4.320,00).
Sull’importo complessivo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata. omissis

PQM

Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta la domanda avanzata dall’attrice opponente e per l’effetto condanna la stessa a rifondere alla convenuta opposta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 18.093,50, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta e Cpa. Visto l’art. 8 comma V del d.lgs. 28/2010 condanna l’attrice al versamento della somma di euro 330,00 all’entrata del bilancio dello Stato.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

4 maggio 2016

35/16. Mediazione demandata: il giudice può invitare il mediatore ad avanzare proposta conciliativa pur in assenza di congiunta richiesta delle parti (Osservatorio Mediazione Civile n. 35/2016)

=> Tribunale di Siracusa, 11 settembre 2015

In caso di mediazione disposta dal giudice ex art.5, comma 2, d.lgs. 28/2010, evidenziata la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata, il giudice può invitare il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art.11, comma 1, D.L.gs 28/2010.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 35/2016

Tribunale di Siracusa
Sezione II
11 settembre 2015

Omissis

A fronte dell’istanza di concessione della provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c., il Giudice deve provvedere “in prima udienza”, di modo che l’istanza di parte opponente di concessione di termine per il deposito di note è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 2697 c.c. la banca che domanda il pagamento del saldo debitore del conto corrente, come attrice, o quale parte opposta – ma attrice in senso sostanziale – nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi posti a base della propria pretesa creditoria.
L’istituto di credito, quindi, ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la consistenza del preteso credito, mediante la produzione del titolo genetico, ovvero del contratto posto a base della domanda, nonché delle scritture contabili di riferimento, vale a dire degli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, dall’apertura alla estinzione del conto, atteso che soltanto attraverso una compiuta e integrale valutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può pervenirsi all’accertamento dell’ipotetico saldo debitore finale (tra le tante, Cass. 9695/2011).
Ciò premesso in diritto, omissis ha versato in atti tanto la copia dei contratti di conto corrente ordinario n. omissis e di conto corrente anticipi n. omissis, oltre ai relativi estratti conto a far tempo dalla stipula e sino “al passaggio a sofferenza” dei rapporti, senza che risulti tuttavia dagli atti l’intercorsa estinzione degli stessi alla data della proposizione della domanda monitoria (refluendo tale ultimo profilo sull’esigibilità del credito), di modo che, valutato come parziale l’apparente riconoscimento del debito di cui al doc. 5 di parte opposta – ad ogni modo, sottoscritto dalla sola società opponente – deve denegarsi la richiesta concessione della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
Non avendo le parti domandato concedersi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., deve ritenersi la causa matura per la decisione, previa rimessione delle parti in mediazione ex art.5, D.Lgs. 28/2010.

PQM

Visto l’art. 648 c.p.c. rigetta l’istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto; dispone che le parti, assistite dai rispettivi difensori, promuovano il procedimento di mediazione, con deposito della domanda di mediazione presso organismo abilitato, entro il termine di 15 giorni a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza; evidenzia la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata; invita il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, co. 1 D.L.gs 28/2010; rammenta che il mancato, effettivo esperimento della suddetta procedura è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda; invita le parti ad informare tempestivamente il Giudice, anche mediante comunicazione presso l’indirizzo omissis, anche in relazione a quanto stabilito dagli artt. 8, co. IVbis e 13 D.Lgs. 28/2010, rispettivamente per l’ipotesi della mancata partecipazione delle parti (sostanziali), senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, ed in tema di statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore; attesa la necessità di progressiva riorganizzazione del ruolo ed, in particolare, l’esigenza di riorganizzazione delle udienze di discussione e di precisazione delle conclusioni, al fine di garantire il tempestivo deposito dei provvedimenti, avuto riguardo anche all’aggravio del ruolo dello scrivente per l’effetto della migrazione di n. 200 fascicoli (gran parte dei quali già chiamati per l’udienza di precisazione delle conclusioni) dal ruolo di altro magistrato della Sezione, di cui al provvedimento medio tempore adottato di variazione urgente della tabella organizzativa del Tribunale di Siracusa ai sensi omissis; ritenuto, in specie, che debba farsi applicazione del criterio oggettivo della priorità di trattazione e decisione dei procedimenti con data di iscrizione a ruolo più risalente, anche alla luce delle indicazioni di cui al programma di gestione ex art. 37 D.L. n. 98/2011 del Tribunale di Siracusa per l’anno 2015; rilevato che occorre, quindi, procedere ad una razionale e graduale riorganizzazione del ruolo secondo i criteri sopra individuati ed avuto riguardo anche agli effetti della variazione tabellare urgente medio tempore disposta, di cui sopra; rilevato che la presente causa reca n. omissis, fissa l’udienza del omissis per la precisazione delle conclusioni. Si comunichi alle parti.
Siracusa, 11.09.2015.
Il Giudice Dott. Alessandro Rizzo

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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