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25 luglio 2016

58/16. La mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa (Osservatorio Mediazione Civile n. 58/2016)

=> Tribunale di Palermo, 27 febbraio 2016

Si ritiene preferibile l’opzione interpretativa per cui la mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa: la ratio legis sottesa all’art.5 d.lgs. 28/2010 deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non si estende ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato; è pertanto preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” come “chi intende instaurare un giudizio” (I) (II) (III).


(II) QUI la giurisprudenza in argomento:


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 58/2016

Tribunale di Palermo
Sezione III
ordinanza
27 febbraio 2016

Omissis

Letti gli atti e sciogliendo la riserva assunta all’udienza omissis;
rilevato che in tale udienza la difesa del omissis, terzo chiamato in causa, ha insistito
nell’eccezione di improcedibilità dell’intero giudizio a motivo del mancato esperimento del
procedimento di mediazione nei propri confronti, sebbene l’attore non abbia affatto esteso al
terzo le domande risarcitorie proposte nei riguardi della omissis;
considerato che l’art. 5 c.1-bis, D.Lgs. 28/2010, nell’imporre il preventivo esperimento di mediazione a chi “intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia” nelle
materie specificamente indicate e nel sancire che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, non regola espressamente le ipotesi in cui il giudizio, dopo la proposizione della domanda giudiziale, si arricchisce di nuove domande o di nuove parti;
rilevato che parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, argomentando sulla base del
dato letterale e della finalità deflattiva della mediazione, ha sostenuto che l’esperimento del
tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità non genericamente del processo,
bensì della domanda giudiziale, tal che ogni domanda (riconvenzionale, trasversale nei
confronti di altro convenuto, del convenuto nei riguardi del chiamato in causa) dev’essere
preceduta dallo svolgimento effettivo della fase di mediazione e l’assolvimento di detto onere
rende procedibile non l’intero giudizio ma la singola domanda;
rilevato che da parte degli stessi autori si è escluso che una simile opinione contrasti con il dato testuale, che indica nel “convenuto” il soggetto legittimato alla formulazione dell’eccezione di improcedibilità, sul rilievo che tale termine ben potrebbe riferirsi all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale o al terzo , cui l’ambito soggettivo del giudizio sia esteso ai sensi degli artt. 105 e 106 c.p.c, e si è sostenuto che, in simili casi, la trattazione congiunta delle reciproche pretese dinanzi al mediatore piuttosto che dilatare i tempi del processo potrebbe invece favorire la soluzione conciliativa a condizione che in mediazione venga discussa non solo la nuova domanda bensì anche quella principale;
ritenuto tuttavia che diversi sono gli argomenti che inducono a ritenere preferibile l’opzione
interpretativa contraria, per cui la mediazione obbligatoria non si estenda alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa;
premesso infatti che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., non possano essere interpretate
in senso estensivo (Cass. 16092/12, 967/04), non può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del dato testuale, che prevede che l’improcedibilità sia sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice di rito annette al destinatario di una qualunque domanda giudiziale,
bensì a colui che riceve la vocatio in jus da parte dell’attore;
considerato, peraltro, che l’evenienza di dove esperire, in tempi diversi e nell’ambito dello
stesso processo, una pluralità di procedimenti di mediazione, comportando un inevitabile,
sensibile allungamento dei tempi di definizione del processo, è all’evidenza difficilmente
compatibile con il principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio e con l’esigenza
di evitare ogni possibile forma di abuso strumentale del medesimo, ciò che impone di
fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto normativo;
ritenuto altresì che sostenere (in maniera del tutto logica e coerente con la ratio dell’istituto)
che, una volta ammessa la mediazione obbligatoria anche per le domande proposte da e nei
confronti dei terzi, eventualmente distinguendola chiamata in garanzia propria da quella impropria (escludendo soltanto nella prima la necessità del preventivo esperimento del tentativo di mediazione, che si è già svolto nella domanda principale), occorre che alla mediazione sia demandata l’intera controversia, perché solo in tal modo essa potrà essere definita in via conciliativa, equivale a gravare oltremodo la posizione dell’attore obbligato a farsi nuovamente carico del costo dell’organismo di mediazione, pur avendo già invano sostenuto quelli della mediazione sulla domanda principale;
ritenuto che, come correttamente osservato da altri giudici di questo Tribunale, un’interpretazione conforme alla normativa europea è anch’essa nel senso di escludere la mediazione obbligatoria rispetto alle domande proposte da e nei confronti dei terzi oltre che rispetto alle c.d. domande riconvenzionali inedite;
rilevato, infatti, che la direttiva 2008/52/CE .costituente criterio guida della legge 69/09, richiamata persino nel preambolo del D.Lgs. 28/10 si prefigge di garantire un miglior accesso
alla giustizia promuovendo metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile
e commerciale “garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario” (art. 1); essa inoltre “cerca di promuovere i diritti fondamentali e tine conto dei principi riconosciuti in particolare dalla Corte dei diritto fondamentali dell’Unione Europea”;
ritenuto che l’allungamento dei tempi di durata del processo – già seriamente appesantiti nelle
controversie per responsabilità professionale sanitaria dai plurimi differimenti dovuti alle
chiamate in causa dei sanitari e dei rispettivi assicuratori – connesso la nuovo tentativo di mediazione
contrasterebbe di fatto, oltre che con l’intento deflattivo, anche con il diritto alla ragionevole
durata del processo sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’
uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
ritenuto che ne risulterebbe dunque sacrificata quell’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario che la direttiva del 21.5.08 in materia di mediazione civile e commerciale si propone invece di assicurare;
ritenuto che, per tutte le illustrate ragioni, la ratio legis sottesa all’art. 5 D.Lgs. 28/2010 deve
intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dà vita ad un processo e non
si estende ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato;
ritenuto pertanto preferibile intendere l’espressione “chi intende esercitare in giudizio un’
azione” come “chi intende instaurare un giudizio”, optando per un’interpretazione costituzionalmente orientata e maggiormente conforme allo spirito delle richiamate norme europee; ritenuto che non v’è pertanto, allo stato, ragione per un’ulteriore arresto del procedimento, che deve invece proseguire verso l’appendice di trattazione scritta preannunciata dalle parti;
ritenuto che, avendone fatta richiesta, va a costoro accordato il rinvio ai sensi dell’art. 183 co.
6 c.p.c. ;

PQM

rigetta l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla difesa del convenuto; assegna alle parti i termini di cui all’art. 183 co. 6 nn. 1,2,3, c.p.c. decorrenti dal omissis e rinvia la causa, per l’adozione dei successivi provvedimenti, all’udienza omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.