Pagine

25 febbraio 2016

18/16. Concorso tra mediazione obbligatoria e adr consumatori: quesito alla Corte di Giustizia (Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2016)

=> Tribunale di Verona, 28 gennaio 2016

Si formulano alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell’Unione Europea (I) (II) (III) (IV):
- se l’art.3 par. 2 dir. 2013/11, nella parte in cui prevede che la medesima direttiva si applichi “fatta salva la dir.2008/52”, vada inteso nel senso che fa salva la possibilità per i singoli stati membri di prevedere la mediazione obbligatoria per le sole ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione della dir.2013/11, vale a dire le ipotesi di cui all’art.2, par. 2 dir. 2013/11, le controversie contrattuali derivanti da contratti diversi da quelli di vendita o di servizi oltre quelle che non riguardino consumatori;
- se l’art.1 par. 1 dir. 2013/11, nella parte in cui assicura ai consumatori la possibilità di presentare reclamo nei confronti dei professionisti dinanzi ad appositi organismi di risoluzione alternativa delle controversie, vada interpretato nel senso che tale norma osta ad una norma nazionale che prevede il ricorso alla mediazione, in una delle controversie di cui all’art.2, par. 1, dir. 2013/11, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale della parte qualificabile come consumatore, e, in ogni caso, ad una norma nazionale che preveda l’assistenza difensiva obbligatoria, ed i relativi costi, per il consumatore che partecipi alla mediazione relativa ad una delle predette controversie, nonché la possibilità di non partecipare alla mediazione se non in presenza di un giustificato motivo.







Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2016

Tribunale di Verona
Sezione terza
Ordinanza
28 gennaio 2016

Omissis

Oggetto della controversia e fatti pertinenti.
Omissis e omissis hanno proposto opposizione, davanti a questo tribunale, al decreto del 15 giugno 2015 con il quale il giudice designato di questo ufficio aveva loro ingiunto di pagare al Banco Popolare, società cooperativa, la somma di euro 991.848,21 a titolo di saldo debitore del contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria dagli stessi concluso in data 16 luglio 2009 presso la filiale di San Martino Buon Albergo del predetto istituto di credito.
A sostegno della domanda di revoca del decreto monitorio gli attori hanno dedotto che, nonostante le loro modeste condizioni reddituali, il Banco Popolare aveva loro concesso ripetutamente credito, in virtù di tre distinti e successivi contratti di apertura di credito in conto corrente, diversi dal suddetto e meglio individuati in atto di citazione, al fine esclusivo o prevalente di consentire loro l’acquisto di un quantitativo esorbitante di azioni, buona parte delle quali dello stesso Banco Popolare o di altre società facenti parte del gruppo Banco Popolare. A detta degli attori poi la convenuta aveva anche indicato come sicuri i predetti investimenti.
Il Banco Popolare, nel costituirsi in giudizio, ha resistito alla domanda attorea assumendone la infondatezza.
Questo giudice deve innanzitutto valutare l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto che è stata avanzata dagli attori.
Orbene, essa non può trovare accoglimento poichè il nesso funzionale, prospettato dagli attori a sostegno della loro domanda, tra le aperture di credito e gli acquisti di azioni sopra citati non è evincibile dalla sola documentazione versata in atti dagli stessi e non potendosi escludere la necessità, nel prosieguo del giudizio, di una ctu diretta a verificare tale profilo. 
Per quanto attiene all’ulteriore corso del giudizio questo giudice dovrebbe assegnare alle parti il termine per presentare l’istanza di mediazione, in applicazione dell’art. 5, commi 1 bis e 4, del d. lgs. 28/2010, atteso che la presente controversia riguarda un contratto bancario e la necessità di esperire il procedimento di mediazione, dopo la decisione sulla istanza di sospensione della provvisoria esecuzione, è stata rappresentata dalla difesa degli attori in atto di citazione.
E’ opportuno precisare che sarebbe onere degli attori introdurre il procedimento di mediazione poiché, secondo una recente e condivisibile pronuncia (la n. 24629 del 3 dicembre 2015) della Corte di Cassazione, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di attivare la mediazione grava sulla parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo, vale a dire l’opponente, con la conseguenza che se ciò non dovesse avvenire il decreto ingiuntivo si consoliderebbe.
Allo stesso tempo, però, la controversia presenta caratteristiche oggettive e soggettive tali da farla rientrare nell’ambito di applicazione del d. lgs. 6 agosto 2015 n. 130, che ha recepito in Italia la direttiva 2013/11 e che, in virtù di una singolare e apposita norma retroattiva, è entrato in vigore il 9 luglio dello stesso anno per le disposizioni diverse da quelle sulla risoluzione alternativa delle controversie on line (le altre diposizioni sono invece entrate in vigore il 3 settembre).
Infatti gli attori rivestono la qualità di consumatori, dal momento che hanno concluso i contratti per cui è causa quali persone fisiche e per fini esultanti dalla loro attività commerciale o professionale; mentre l’istituto di credito convenuto ha agito nell’esercizio della sua attività professionale come definita dall’art. 4 lett. b) della direttiva 2013/11 e dall’art. 141, comma 1, lett. b) d. lgs. 130/2015. Sotto il profilo oggettivo poi la controversia concerne, nella prospettazione attorea come in quella dei convenuti, obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di apertura di credito che ben possono essere qualificati come contratti di servizi, secondo l’accezione di questa tipologia di rapporti che dà l’art. 141, comma 1, lett. d) del predetto decreto, in piena conformità all’art. 4 lett. d) della direttiva 11/2013.
Infatti nel rapporto di apertura di credito in conto corrente l’istituto di credito svolge un servizio in favore del correntista consumatore, consistente nel mettere a disposizione della stessa una determinata somma di denaro dietro un corrispettivo costituito dalle commissioni sull’accordato e dal tasso di interesse applicato sulla somma utilizzata.
Anche la Corte di Giustizia con la pronuncia del 17 marzo 1998, resa nella causa c-45/1996 ha avuto occasione di affermare, sia pure incidentalmente, che la concessine di credito costituisce un contratto di servizi.
Pertanto gli attori, dato il carattere volontaristico della adr per i consumatori, chiaramente affermato dall’art. 141, comma 4 d. lgs. 130/2015, avrebbero la facoltà e non già l’obbligo, di attivare tale forma di risoluzione alternativa della presente controversia e qualora lo facessero troverebbero applicazione le altre disposizioni ad essa dedicate.
Le disposizioni nazionali che possono trovare applicazione nel caso di specie.
Art. 4, comma 3, del d. lgs. 28/2010 (recante attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, a sua volta attuativo della direttiva 2008/52).
“All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.
Art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010.
“1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore (…) L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione…”.
Art. 5, comma 2 bis, d. lgs. 28/2010.
“Quando l’esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata al primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.”
Art. 5, comma 4, d. lgs. 28/2010.
“I commi 1 bis e 2 non si applicano:
a) Nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (…)”.
Art. 8, comma 1, d. lgs. 28/2010.
“All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato (…)”.
Art. 8, comma 4 bis, d. lgs. 28/2010
“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Art. 23, comma 2, d. lgs. 28/2010.
“Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonche' le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto”.
Art. 16, commi 10 e 11, D.M. 18 ottobre 2010 n. 180.
“10.  Le spese di mediazione comprendono anche  l'onorario  del mediatore per l'intero procedimento di mediazione,  indipendentemente dal numero di incontri svolti. Esse rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori, di nomina di  uno  o  piu'  mediatori ausiliari,  ovvero  di  nomina  di  un  diverso  mediatore   per   la formulazione della proposta ai sensi  dell'articolo  11  del  decreto legislativo.” 
“11. Le spese di mediazione indicate sono dovute in  solido  da ciascuna parte che ha aderito al procedimento (…).
Art. 141, comma 1, del d. lgs. 6 agosto 2015 n. 130 (recante attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, direttiva sull'ADR per i consumatori).
“Le disposizioni di cui al presente  titolo,  si  applicano  alle procedure  volontarie  di   composizione   extragiudiziale   per   la risoluzione, anche in via telematica, delle controversie nazionali  e transfrontaliere,  tra  consumatori  e  professionisti  residenti   e stabiliti nell'Unione europea, nell'ambito  delle  quali  l'organismo ADR propone una soluzione o riunisce le parti al  fine  di  agevolare una  soluzione  amichevole  e,  in  particolare,  agli  organismi  di mediazione per la trattazione degli  affari  in  materia  di  consumo iscritti nella sezione speciale di cui all'articolo 16, commi 2 e  4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e agli  altri  organismi ADR istituiti o iscritti presso gli elenchi tenuti e  vigilati  dalle autorita' di cui al comma 1, lettera i),  previa  la  verifica  della sussistenza  dei  requisiti  e  della   conformita'   della   propria organizzazione  e  delle  proprie  procedure  alle  prescrizioni  del presente titolo.”
Art. 141, comma 6, d. lgs. 130/2015. 
“Sono fatte salve le seguenti disposizioni che prevedono l'obbligatorieta' delle  procedure  di  risoluzione  extragiudiziale delle controversie:
a) articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4  marzo  2010,n. 28, che disciplina i casi  di  condizione  di  procedibilita'  con riferimento alla  mediazione  finalizzata  alla  conciliazione  delle controversie civili e commerciali; (…)”.
Disposizioni del diritto dell’Unione pertinenti nel caso di specie.
Considerando 8 della direttiva 2008/52:
“Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni.(…)”.
Considerando 10 della direttiva 2008/52.
“La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l’assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale (…)”.
Art. 1, par. 1, della direttiva 2008/52:
“La presente direttiva ha l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”.
Art. 3, lettera a), della direttiva 2008/52:
“(…) si applicano le seguenti definizioni:
a) per “mediazione” si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. (…)”.
Art. 5, par. 2, della direttiva 2008/52.
“La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.
Considerando 16 della direttiva 2013/11.
“La presente direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie tra consumatori e professionisti concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi, sia online che offline, in tutti i settori economici, diversi dai settori oggetto di esenzione. Dovrebbero essere comprese le controversie derivanti dalla vendita o dalla fornitura di contenuti digitali dietro corrispettivo economico. La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai reclami presentati dai consumatori nei confronti dei professionisti. Essa non dovrebbe applicarsi ai reclami presentati dai professionisti nei riguardi di consumatori o alle controversie tra professionisti. Tuttavia, essa non dovrebbe impedire agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore disposizioni relative a procedure per la risoluzione extragiudiziale di tali controversie”.
Considerando 19 della direttiva 2013/11.
“Alcuni atti giuridici dell'Unione in vigore già contengono disposizioni relative all'ADR. Per garantire la certezza giuridica è opportuno prevedere che, in caso di conflitto, prevalga la presente direttiva, salvo qualora sia espressamente previsto altrimenti. In particolare, la presente direttiva non dovrebbe pregiudicare la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (1), che definisce già un quadro di riferimento per i sistemi di mediazione a livello di Unione per quanto concerne le controversie transfrontaliere, senza impedire l'applicazione di tale direttiva ai sistemi di mediazione interna. La presente direttiva è destinata a essere applicata orizzontalmente a tutti i tipi di procedure ADR, comprese le procedure ADR contemplate dalla direttiva 2008/52/CE”.
Art. 4 direttiva 2013/11.
“Ai fini della presente direttiva, si intende per: a) «consumatore»: qualsiasi persona fisica che agisca a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; b) «professionista»: qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto privato o pubblico, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in suo nome o per suo conto; L 165/70 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 18.6.2013 IT (…) d) «contratto di servizi»: qualsiasi contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio al consumatore e il consumatore ne paga o si impegna a pagarne il prezzo; e) «controversia nazionale»: una controversia contrattuale derivante da un contratto di vendita o di servizi, nell'ambito della quale il consumatore, quando ordina i beni o i servizi, risiede nello stesso Stato membro in cui è stabilito il professionista.
Art. 8 direttiva 2013/11.
“Gli Stati membri garantiscono che le procedure ADR siano efficaci e rispettino i seguenti requisiti:
a) la procedura ADR è disponibile e facilmente accessibile online e offline per entrambe le parti, a prescindere dalla loro ubicazione;
b) le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale senza che la procedura precluda alle parti il loro diritto di ricorrere al parere di un soggetto indipendente o di essere rappresentate o assistite da terzi in qualsiasi fase della procedura; c) la procedura ADR è gratuita o disponibile a costi minimi per i consumatori; (…)”
Art. 9 direttiva 2013/11.
“Gli Stati membri garantiscono che nell'ambito delle procedure ADR:
(…)
b) le parti siano informate del fatto che non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale, ma possono chiedere un parere indipendente o essere rappresentate o assistite da terzi in qualsiasi fase della procedura;
(…)
Nell'ambito delle procedure ADR volte a risolvere la controversia proponendo una soluzione, gli Stati membri garantiscono che: a) le parti abbiano la possibilità di ritirarsi dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura. Le parti sono informate di tale diritto prima dell'avvio della procedura. Nel caso in cui le norme nazionali prevedano la partecipazione obbligatoria del professionista alle procedure ADR, la presente lettera si applica esclusivamente ai consumatori; (…)”.
Le questioni pregiudiziali
Alla luce di quanto detto nella parte finale del paragrafo 1 è evidente che, rispetto alle controversie di consumo, vi è un concorso tra l’art. 5, comma 1 bis del d. lgs. 28/2010 e l’art.141, comma 4, del d.lgs. 130/2015.
Esso andrebbe risolto a favore della mediazione, in virtù del disposto dell’art. 141, comma 6, del d. lgs. 130/2015 che fa espressamente salve alcune disposizioni nazionali che prevedono l’obbligatorietà della procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, tra le quali l’art. 5, comma 1 bis, del decreto legislativo 28/2010.
Invero il legislatore italiano ha ritenuto che una simile scelta fosse consentita dall’art. 3 della direttiva 2013/11 e ha anche lasciato intendere che ad essa consegua l’applicazione della intera disciplina nazionale in tema di mediazione obbligatoria e non già l’integrazione tra la norma in tema di mediazione obbligatoria sopra citata e quelle del d. lgs. 130/2015 (d’altro canto la prospettata integrazione risulterebbe assai problematica poiché la predetta previsione in tema di mediazione obbligatoria e quella ad essa strettamente connessa dell’art. 4 sono comunque incompatibili con le disposizioni del d. lgs. 130/2015, come meglio si vedrà più avanti).
Infatti nella relazione ministeriale al d. lgs. 130/2015 si afferma, testualmente, che: “il recepimento della direttiva 2013/11/Ue non dovrebbe avere alcuna influenza generale sul decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, in quanto i due ambiti di applicazione continueranno a rimanere distinti” (così pag. 10 della relazione a commento dell’art. 141, comma 6, d. lgs. 130/2015).
Si noti anche che l’eventuale esperimento della adr per i consumatori non soddisferebbe la condizione di procedibilità poiché l’art. 23 del d. lgs. 28/2010 mantiene fermi solo i procedimenti di conciliazione e di mediazione comunque denominati, che abbiano carattere obbligatorio.
La premessa da cui muove la soluzione normativa in esame però non convince, dal momento che si fonda su un dato normativo equivoco. L’art. 3 della direttiva 2013/11 infatti non risolve l’apparente interferenza tra l’ambito di applicazione della stessa e quello della direttiva 2008/52, atteso che, se da un lato, al primo paragrafo, prevede espressamente la prevalenza della prima, dall’altro, nel secondo paragrafo, fa salva la seconda, senza ulteriori precisazioni.
Le due previsioni quindi, stando almeno al loro tenore letterale, sembrano tra loro in contrasto.
Nemmeno i consideranda della direttiva 2013/11 offrono elementi di chiarezza sul punto, atteso che l’ultima parte del considerando n. 19 sembra prevedere che, ove la controversia riguardi un contratto di consumo, la direttiva sulla mediazione debba cedere a quella sulle adr per i consumatori.
Parimenti la relazione ministeriale al d. lgs. 150/2013 non risulta utile a tale fine perché, pur dando atto del contrasto tra i due commi dell’art. 3, non spiega perché esso debba essere risolto nei termini sopra esposti.
Di qui la necessità di un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia sul punto. 
Invero pare innanzitutto alquanto dubbio a questo giudice che, attraverso il richiamo alla direttiva 2008/52, la direttiva 2013/11 abbia inteso implicitamente far salvo il diritto degli stati membri di prevedere la mediazione obbligatoria in sostituzione della adr per i consumatori anche nelle controversie in cui è possibile il ricorso a questo strumento.
Infatti la disposizione della direttiva 2008/52 (art. 5 par. 2) che consente ai singoli stati membri di prevedere la mediazione come condizione di procedibilità della domanda, come è stato notato da alcuni commentatori, non ha carattere precettivo ma puramente ricognitivo della sfera di competenza degli stati membri. In altri termini essa autorizza gli stati membri ad adottare un sistema obbligatorio a livello nazionale ma mantiene fermo nell’ordinamento comunitario un modello di adr volontario, basato sulla libertà delle parti di entrare ed uscire dal procedimento.
Da una esame sistematico degli atti comunitari in tema di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie pare anzi potersi desumere la preferenza della Unione per la forma volontaria delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie. 
E’ opportuno  richiamare al riguardo la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 (2011/2117-INI), ancorché priva di efficacia vincolante, poiché essa considera, tra l’altro, che una soluzione alternativa delle controversie, che consenta alle parti di evitare le tradizionali procedure arbitrali, può costituire un’alternativa rapida ed economica ai contenziosi. Al paragrafo 10 poi afferma che «al fine di non pregiudicare l’accesso alla giustizia, si oppone a qualsiasi imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio di ADR a livello di UE” pur ritenendo che si potrebbe valutare un meccanismo obbligatorio per la presentazione dei reclami delle parti al fine di esaminare le possibilità di ADR». Al paragrafo 31, sesto capoverso, aggiunge (tra l’altro) che l’ADR deve avere un carattere facoltativo, fondato sul rispetto della libera scelta delle parti durante l’intero arco del processo, che lasci loro la possibilità di risolvere in qualsiasi istante la controversia dinanzi ad un tribunale, e che esso non deve essere in alcun caso una prima tappa obbligatoria preliminare all’azione in giudizio.
Merita di essere ricordata anche la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 (2011/2026-INI), relativa all’attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, all’impatto della stessa sulla mediazione e alla sua adozione da parte degli uffici giudiziari. Tale risoluzione, nel passare in rassegna le modalità con cui alcuni degli Stati membri hanno attuato la direttiva citata, osserva nel paragrafo 10 che «nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l’obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali”; ciononostante sottolinea che: “la mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura giudiziaria».
Orbene, pare pienamente in linea con le predette indicazioni l’affermazione, che si legge nell’art. 1, primo periodo, della direttiva 2013/11 del carattere volontaristico della sistema delle adr per i consumatori, tenuto conto che solo in quello successivo si afferma la riserva per le legislazioni nazionali di disporre l’obbligatorietà di tali procedure.
Il sistema italiano di mediazione obbligatoria pare invece in conflitto con il corpo dispositivo della direttiva 2013/11 sia per quanto riguarda la struttura generale e la funzione di questa sia per quanto riguarda alcune specifiche disposizioni che troverebbero applicazione se nel caso di specie si dovesse dar corso a tale forma di adr.
Sotto il primo profilo la direttiva in questione, come si evince chiaramente dalla prima parte del considerando 16, si prefigge e vincola gli stati membri all’obiettivo di istituire un sistema unitario ed esclusivo di adr specificamente destinato alle controversie di consumo e avente requisiti armonizzati, tra i quali organismi specializzati in materia di consumo, e pertanto dovrebbe applicarsi a tutti i procedimenti di adr, compresi quelli regolati dalla direttiva 2008/52.
Alla realizzazione di una simile finalità pare invece ostare, ad avviso di questo giudice, la scelta compiuta dal legislatore italiano di salvaguardare le previsioni in tema di mediazione obbligatoria per una serie piuttosto estesa di controversie di consumo, vale a dire quelle, invero più diffuse, relative ai contratti bancari, finanziari ed assicurativi, poiché, come è stato osservato in dottrina, essa suddivide il sistema Cadr italiano in due settori, uno regolato da un procedimento obbligatorio e l’altro, costituito dalle controversie relative alle ipotesi, invero residuali, degli altri contratti di vendita o di servizi, da un procedimento volontario.
Non va poi trascurato, sotto il profilo funzionale, che l’art. 9 della direttiva 2013/11 è articolato sulla alternativa secca che le parti siano completamente libere di partecipare o ritirarsi dal procedimento nonchè di rifiutare o aderire alla proposta conciliativa dell’organismo di adr ovvero che, in conformità al diritto nazionale, vi possa essere obbligato solo il professionista. Nella mediazione obbligatoria invece il consumatore è obbligato, al pari del professionista, a partecipare al procedimento.
A ben vedere però la condizione di procedibilità grava in primo luogo sul primo, allorquando, come nel caso di specie, per realizzare il proprio interesse egli intenda proporre il giudizio. E’ evidente, quindi, come la sottoposizione a mediazione delle controversie di cui all’art. 2 della direttiva, da parte della disciplina nazionale, ponga il consumatore in una posizione più sfavorevole di quella in cui si troverebbe se avesse solo la facoltà di esperire la adr.
L’impronta volontaristica della adr per i consumatori emerge anche dalla previsione che consente agli organismi di rifiutare i reclami futili (art. 4) e che risulta invece incompatibile con un sistema di mediazione obbligatoria poiché in esso l’organismo al quale venga presentata l’istanza di mediazione è tenuto ad avviare la procedura di adr.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte una interpretazione che consente di conciliare i primi due paragrafi dell’art. 3 della direttiva 2013/11 e di definire gli ambiti di applicazione di questa e della direttiva 2008/52 potrebbe allora essere quella che le previsioni della direttiva 2008/52, ivi compresa quella che consente ai singoli stati membri l’adozione di una mediazione obbligatoria, sono fatte salve per le sole ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/11. Si tratterebbe quindi delle ipotesi di cui all’art. 2, par. 2 della direttiva 2013/11, tra le quali quindi, in particolare, quelle delle procedure avviate dal professionista o delle controversie tra professionisti, nonché delle ipotesi, invero residuali, delle controversie contrattuali derivanti da contratti diversi da quelli di vendita o di prestazione di servizi oltre che, ovviamente, delle ipotesi di controversie che non riguardino consumatori.
Se quest’ultima conclusione fosse corretta, con specifico riguardo alla disciplina italiana sulla mediazione obbligatoria, questa forma di adr costituirebbe condizione di procedibilità della domanda relativa alle controversie, elencate dall’art. 5, comma 1 bis d. lgs. 28/2010 in cui nessuna delle parti sia un consumatore ovvero a quelle promosse dal professionista, o ancora a quelle relative a responsabilità sanitaria atteso che esse, ai sensi dell’art.141, comma 8, lett. g), sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva 2013/11. Lo stesso dovrebbe dirsi per le controversie relative ai contratti di comodato poiché essi non rientrano né nella categoria dei contratti di vendita né in quella dei contratti di servizi avendo natura gratuita.
Peraltro è opportuno sottoporre tale esegesi al vaglio della Corte di Giustizia.
Come si è anticipato la procedura italiana sulla mediazione obbligatoria, come delineata dal d. lgs. 28/2010, appare difforme dalla procedura di adr dei consumatori anche in alcuni specifici e rilevanti profili.
Gli artt. 5, comma 1 bis e 8, comma 1, del d. lgs. 28/2010 richiedono che la parte che partecipa alla mediazione sia assistita da un avvocato, mentre la direttiva 2013/11, all’art. 8, lett. b) esclude espressamente che le parti debbano avvalersi di un avvocato nel corso della adr.
Si noti come anche la previsione di cui all’art. 8 lett. a) presupponga che gli interessati possano accedere direttamente alla procedura di adr attraverso mezzi telematici ed escluda quindi che essi debbano servirsi a tal fine della difesa tecnica.
A ben vedere la necessità dell’assistenza difensiva nel corso della mediazione comporta che il costo della procedura non possa definirsi “minimo”, secondo la inequivocabile espressione utilizzata dalla lett. c) del succitato art. 8, cosicchè essa non appare conforme nemmeno a questa previsione.
Ciò risulta ancor più chiaro se si tiene presente che in Italia il valore medio di liquidazione del compenso per le prestazioni stragiudiziali dell’avvocato, tale dovendosi considerare l’assistenza prestata in mediazione, varia, a seconda del valore dell’affare, da 270,00 a 5.870,00 euro e che nel caso di specie, tenuto conto dell’entità della somma (euro 991.848,21) di cui le parti controvertono, è pari proprio al predetto importo massimo.
Né può indurre ad una diversa valutazione il fatto che il comma 2 bis dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, al fine di contenere l’entità dei costi della mediazione obbligatoria, abbia previsto un incontro preliminare, davanti al mediatore, diretto a verificare la reale intenzione delle parti di dar corso alla mediazione, in difetto della quale la condizione di procedibilità si considera realizzata.
Innanzitutto un simile sviluppo è solo eventuale e poi, anche qualora si verificasse, consentirebbe di ridurre a livelli minimi l’entità della somma dovuta all’organismo di mediazione, che sarebbe limitata alle c.d. spese di avvio (pari a 40.00 o 50,00 euro a seconda del valore della controversia), ma non anche la spesa per l’assistenza difensiva.
Infatti anche a voler ammettere, senza tuttavia concedere, che i predetti valori medi di liquidazione possano essere modulati a seconda della concreta durata della mediazione, l’ammontare del compenso dovuto dalla parte al proprio avvocato per l’attività di assistenza nel primo incontro sarebbe comunque di una certa consistenza, salva l’ipotesi, peraltro qui insussistente, in cui non fosse stato pattuito con lui un compenso minimo.
Il costo complessivo per il consumatore sarebbe quindi di molto superiore a quello, definito dalla direttiva, della adr per i consumatori poiché in essa la necessità di assistenza tecnica è esclusa in radice.
Sempre nell’ambito di un raffronto tra disposizioni specifiche è opportuno chiarire che nella mediazione obbligatoria le parti non possono venire informate del fatto che è loro consentito fare a meno di un legale, come prevede invece l’art. 9, par. 1 lett. b) della direttiva 2013/11, perché l’avvocato è necessario ed anzi è proprio lui che deve informarle dell’obbligo preventivo di conciliazione, a pena di annullamento del mandato difensivo (art. 4, comma 3 del d. lgs. 28/2010).
Ancora, le parti non possono ritirarsi dal procedimento di mediazione in ogni momento, e senza conseguenze di sorta, se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura (art. 9, comma 2 lett. a) direttiva 2013/11), ma solo in presenza di un giustificato motivo, difettando il quale sono soggette ad una sanzione pecuniaria che il giudice è tenuto ad applicare a prescindere anche dalla soccombenza nel successivo giudizio (art.8, comma 4 bis del d.lgs. 28/2010).
Di conseguenza le parti nemmeno possono essere informate preventivamente di quel loro diritto.
E’ opportuno chiarire peraltro che la nozione di giustificato motivo, attenendo a ragioni oggettive, non ricomprende l’ipotesi della mancata soddisfazione per la procedura.

E’ quindi opportuno interpellare la Corte di Giustizia anche sulla compatibilità con il sistema della adr per i consumatori della mediazione obbligatoria, sia sotto il profilo generale che con riguardo alle caratteristiche sopra esaminate.

PQM

Rigetta l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto avanzata dagli attori.
Visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, rinvia gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, formulando le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione del diritto dell’Unione Europea:
- Se l’art.3 par. 2 della direttiva 2013/11, nella parte in cui prevede che la medesima direttiva si applichi “fatta salva la direttiva 2008/52”, vada inteso nel senso che fa salva la possibilità per i singoli stati membri di prevedere la mediazione obbligatoria per le sole ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/11, vale a dire le ipotesi di cui all’art. 2, par. 2 della direttiva 2013/11, le controversie contrattuali derivanti da contratti diversi da quelli di vendita o di servizi oltre quelle che non riguardino consumatori;
- Se l’art. 1 par. 1 della direttiva 2013/11, nella parte in cui assicura ai consumatori la possibilità di presentare reclamo nei confronti dei professionisti dinanzi ad appositi organismi di risoluzione alternativa delle controversie, vada interpretato nel senso che tale norma osta ad una norma nazionale che prevede il ricorso alla mediazione, in una delle controversie di cui all’art. 2, par. 1 della direttiva 2013/11, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale della parte qualificabile come consumatore, e, in ogni caso, ad una norma nazionale che preveda l’assistenza difensiva obbligatoria, ed i relativi costi, per il consumatore che partecipi alla mediazione relativa ad una delle predette controversie, nonché la possibilità di non partecipare alla mediazione se non in presenza di un giustificato motivo.
Sospende il presente procedimento fino alla decisione della Corte di Giustizia.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza, compresa l’estrazione di copia cartacea degli atti e dei documenti depositati in via telematica per l’inoltro alla Corte di Giustizia.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.