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29 gennaio 2016

9/16. Ministero della Giustizia: dati statistici sulla mediazione 1 gennaio – 30 settembre 2015 (Osservatorio Mediazione Civile n. 9/2016)

Sono stati resi noti i nuovi dati ministeriali sulla diffusione della mediazione civile e commerciale relativi ai primi tre trimestri del 2015 (1).

Dal 1 gennaio al 30 settembre 2015, sulla base fornite da 428 Organismi rispondenti all’indagine (su 882), si registrano
  • 5.886 procedimenti di mediazione pendenti iniziali;
  • 81.346 iscritti;
  • 75.505 definiti;
  • 12.727 pendenti finali.

  

Durata delle procedure:

Contenzioso in Tribunale

844gg
(dato: 2013)

Procedimento di mediazione

99gg
(dato: 1.1.2015-30.9.2015)



Confermati anche i dati sulle controversie maggiormente trattate in mediazione:
  • contratti bancari (circa il 24%);
  • controversie in tema di diritti reali (14%);
  • locazione (12%);
  • condominio (12%). 

L’aderente compare nel 45% dei casi.
Nel 22% di tali casi si giunge all’accordo conciliativo.
Le controversie con una percentuale di comparizione dell’aderente superiore al 50% si confermano essere quelle in tema di Successioni ereditarie (64,7%), Divisione (59,9%), Patti di famiglia (59,5%), Diritti reali (55,1%), Condominio (54,1%), Affitto di aziende (51,6%) e Locazione (50,5%). Nelle controversie in tema di comodato, invece, la percentuale è del 44,6%.
Tra le controversie con i migliori dati quanto all’esito positivo della mediazione si segnalano quelle in materia di diritti reali e comodato e, in generale, i procedimenti di natura volontaria.

Categorie di mediazione:
mediazione obbligatoria:                                                    81%
mediazione demandata dal giudice:                                      9,9%
mediazione concordata (prevista da clausola contrattuale):       0,6%
mediazione volontaria:                                                       8,5%
Le mediazioni demandate riguardano circa 10.000 procedimenti.

Quanto alla presenza dell’avvocato in mediazione, l’assistenza legale è in diminuzione nelle mediazione volontarie: il 46% dei proponenti (dato che sale tra i chiamati in mediazione: circa il 78% è assistito da un avvocato).

Organismi di mediazione



Tipologia Organismi di conciliazione

Organismi al 30.09.2015
Procedimenti definiti

ORGANISMI DELLE CAMERE DI COMMERCIO

85 14.872
85 14.872

ORGANISMI PRIVATI

605 73.093
605 73.093

ORDINE AVVOCATI

112 48.542
112 48.542

ALTRI ORDINI PROFESSIONALI

80 1.325
80 1.325

Totale complessivo

882 137.832
882 137.832

Quanto all’assistenza legale nelle mediazioni volontarie, nel periodo di riferimento circa la metà dei proponenti sceglie di non farsi assistere da un avvocato, mentre ben 80% degli aderenti comparsi lo fa con l’assistenza di un legale.

La rilevazione statistica ministeriale è consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia al seguente indirizzo:

(1) Le analisi curate dall'Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile di tutte le precedenti rilevazioni statistiche sono consultabili a questo indirizzo.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 9/2016
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

27 gennaio 2016

8/16. Mediazione obbligatoria, primo incontro: non basta manifestare l’intenzione di non dare seguito alla procedura; il decreto ingiuntivo deve quindi essere revocato. (Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2016)

=> Tribunale di Firenze, 15 ottobre 2015

In caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, la domanda introdotta da parte opposta con ricorso monitorio e sfociata nell’emissione del decreto ingiuntivo opposto, così come la riconvenzionale avanzata dall’opponente in citazione, devono essere dichiarate improcedibili a norma dell’art.5, d.lgs. 28/2010 (I). Difatti, posto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità dovrà innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata in sede monitoria, con conseguente revoca dell’opposto decreto.

L’effettivo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria non è rimesso alla mera discrezionalità delle parti, con conseguente libertà di queste, una volta depositata la domanda di avvio della procedura e fissato il primo incontro davanti al mediatore, di manifestare il proprio disinteresse nel procedere al tentativo, ma costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’art. 8 d.lgs. 28/2010 deve difatti essere interpretato nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa (II). Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti. Pertanto, non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione qualora le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si limitino a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento. A nulla vale la circostanza che siano ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde (ingiustificata) volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2016

Tribunale di Firenze
Sezione III civile
sentenza
15 ottobre 2015


Omissis

Con un atto di citazione notificato il data omissis, Società omissis, in qualità di debitore principale e omissis e omissis, in qualità di fidejussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis, con il quale veniva ingiunto il pagamento solidale in favore di Banca della somma di euro omissis oltre interessi in forza di saldo passivo del conto corrente ordinario n. omissis, con competenze al omissis per euro omissis, e del correlato conto anticipi export con competenze al omissis per euro omissis.
In particolare, gli opponenti deducevano che il credito azionato in monitorio da parte opposta traeva origine da un contratto di conto corrente e un contratto di conto anticipi export accesi dalla Società presso Banca; che omissis e omissis si costituivano fidejussori a favore di Banca omissis; che, nell’ambito dei rapporti di affidamento bancario intercorsi con Banca omissis quest’ultima compiva una serie di irregolarità, tali da rendere il credito azionato in monitorio e oggetto dell’opposto decreto incerto, illiquido ed inesigibile; che, in specifico, era violato l’obbligo di forma scritta del contratto di apertura di credito, era applicato un tasso di interesse superiore al tasso soglia in materia di usura ed un’illegittima capitalizzazione degli interessi, erano addebitate somme di denaro a titolo di commissione di massimo scoperto con illegittima anticipazione o posticipazione nella determinazione dei giorni di valuta per le singole operazioni.
Gli opponenti concludevano pertanto: affinché fosse revocato il decreto opposto e stabilito l’esatto dare – avere tra le parti, con conseguente condanna di parte opposta alla restituzione in favore degli opponenti delle somme versate e non dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria; affinché fosse altresì condannata, in ogni caso, parte opposta al risarcimento dei danni subiti dagli opponenti a causa dell’illegittima condotta assunta ex adverso; con vittoria di compensi e spese, anche della fase monitoria.
Si costituiva in giudizio la convenuta opposta, la quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità delle avverse domande di restituzione di somme e risarcimento dei danni, in quanto erroneamente non proposte dagli opponenti in via riconvenzionale; nel merito, ne eccepiva comunque l’infondatezza, in quanto non provate né quantificate; concludeva, in tesi, affinché fosse respinta l’opposizione e, in subordine, affinché fossero condannati gli opponenti al pagamento in favore di Banca omissis della somma che sarebbe risultata in corso di causa, con vittoria di spese e compensi.
Concessa la provvisoria esecutorietà del decreto opposto, il Giudice, con ordinanza del omissis, disponeva che le parti esperissero il procedimento di mediazione obbligatorio ex lege con onere di impulso a carico di parte opposta, dando specifico conto dell’interpretazione offerta dal Tribunale in ordine all’effettivo perfezionarsi di detto procedimento. Alla successiva udienza emergeva dal verbale reso dall’Organo di mediazione prodotto in atti che le parti presenti al primo incontro avevano dato atto che “allo stato non sussistono i presupposti per poter dare avvio al procedimento di mediazione” senza fornire idonea, specifica e motivata giustificazione al mancato avvio di un effettivo tentativo di mediazione.
Ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice rinviava le parti all’udienza odierna ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c. Queste ultime precisavano le conclusioni come in verbale e discutevano oralmente la causa.
La domanda introdotta da parte opposta con ricorso monitorio e sfociata nell’emissione del decreto ingiuntivo n. omissis di questo Tribunale qui opposto, così come la riconvenzionale avanzata dagli opponenti in citazione, devono essere dichiarate improcedibili a norma dell’art.5 bis del D. Lgs. 28/2010 (come modificato dal D.L. 21.6.2013, n. 69, convertito in L. 9.8.2013).
Come già rilevato in sede di ordinanza del omissis, al cui specifico contenuto si rinvia, l’effettivo esperimento del tentativo di mediazione non è rimesso alla mera discrezionalità delle parti, con conseguente libertà di queste, una volta depositata la domanda di avvio della procedura e fissato il primo incontro davanti al mediatore, di manifestare il proprio disinteresse nel procedere al tentativo, ma costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’articolo 8 del succitato D. Lgs. 28/2010 , nel prevedere che il mediatore durante i primo incontro, debba invitare le parti e i loro avvocati “ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”, deve difatti essere interpretato nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa. Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti con sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva. Ciò ribadito, nel caso di specie non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione. Alla luce del verbale prodotto in atti da parte opposta all’udienza del omissis, le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si son limitate a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento e rendendo, di fatto, necessaria l’applicazione della sanzione comminata dall’art. 5/1 bis del D. Lgs. 28/2010. A nulla vale la circostanza che siano state ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde –ingiustificata- volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.
Difatti, posto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità dovrà innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata da Banca omissis  in sede monitoria, con conseguente revoca dell’ opposto decreto.
D’altro lato, indipendentemente, dalla parte opposta, analoga volontà di non procedere nel merito del tentativo era manifestata altresì da parte opponente, la cui riconvenzionale – come sopra anticipato – deve essere altrettanto dichiarata improcedibile.
Ogni questione di merito deve intendersi assorbita.
Tenuto conto dell’esito della lite, le spese devono intendersi interamente compensate tra le parti.

PQM

Il Tribunale di Firenze, ogni altra domanda reietta, definitamente pronunciando sull’opposizione promossa da Società omissis, in qualità di debitore principale, omissis e omissis in qualità di fidejussori, nei confronti di Banca omissis avverso il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis, così provvede:
1. dichiara l’improcedibilità della domanda introdotta da Banca omissis con ricorso monitorio e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. omissis emesso dal Tribunale di Firenze in data omissis;
2. dichiara l’improcedibilità della domanda riconvenzionale avanzata dagli opponenti;
3. dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti, come in parte motiva.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

26 gennaio 2016

7/16. C. Baratta. Il mediatore-manager: gestire un conflitto con la teoria degli stakeholder (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2016)

Il mediatore-manager: gestire un conflitto con la teoria degli stakeholder

di Carlo Baratta
(Mediatore in Torino)


“Il conflitto con gli stakeholder è il combustibile del capitalismo”: è quanto sostiene _Robert Edward Freeman per adattarlo alla situazione della mediazione si può dire che il conflitto tra le parti  è l’essenza della mediazione.

Premessa

Con questa relazione, sostengo  appoggiandomi agli studi  di Bourdieu, che il conflitto è un fatto naturale che sorge quando  più soggetti  entrano in relazione. Perciò il conflitto è un fattore presente nella mediazione, e riuscire a capire come si può generare è importante per gestire una mediazione.
Sostengo che le parti in lite possano descriversi utilizzando la teoria degli stakeholder
Questa teoria è servita per capire come funziona un’impresa complessa, che deve gestire reti di relazioni, si può, a mio avviso applicare alla procedura di mediazione che di fatto è una rete di relazioni. Questo approccio serve anche per definire meglio il ruolo del mediatore, che non è un giudice o un avvocato ma molto  simile ad un manager, che per questa teoria deve gestire il conflitto tra gli stakeholder o le parti. Il ruolo del mediatore, in conseguenza del DECRETO LEGISLATIVO 6 agosto 2015, n. 130 pubblicato in G.U. n. 191 del 19/08/2015, ha visto rafforzata questa impostazione.

L’approccio sociologico di Bourdieu ; habitus, campi, conflitto.

Tutto quello che è presente nella realtà, è il prodotto di relazioni. Relazioni da intendere in senso ampio, quindi non solo legami intersoggettivi tra persone ma legami, scambi che si determinano indipendentemente dalle volontà individuali. (es. mediazione demandata, le parti sono costrette a partecipare).
Con questa ipotesi, che in sociologia è stata formulata da Bourdieu, il mondo reale è caratterizzato da diverse tipologie di conflitti, tra parti, caratterizzati da punti  di vista interessi soluzioni diverse.
Il conflitto, e non l’equilibrio, costituisce per Bourdieu l’essenza della vita sociale, la mediazione perciò è essenziale per giungere ad una soluzione concordata che non necessariamente porta all’equilibrio matematico.
L’approccio, del sociologo francese, è interessante per la mediazione in quanto  si pone come  sintesi tra la visione “oggettiva dei fatti sociali”, visione che spiega la realtà sociale come prodotto di fattori indipendenti dai singoli attori sociali, e la visione “soggettiva” che considera la realtà come prodotto dell’agire dei singoli, delle loro rappresentazioni e credenze; la natura della realtà sociale, è duplice.
Per rendere questa teoria meno astratta possiamo pensare alla realtà come  alla chimica: gli  elementi hanno una loro specificità e possono entrare in relazione con altri, è il risultato di questi legami  che dà senso agli elementi, anche i fatti sociali costruiti da relazioni possibili, possano produrre un caso particolare del possibile
Questo modo  di pensare è antico già Aristotele indica lo stato del carattere hexis o habitus, che orienta le nostre percezioni e i nostri desideri, che considera la condotta mentale come relazione tra esperienze passate e le azioni che si attuano. Per Bourdieu “….’habitus quel sistema di disposizioni interiorizzate che ha il compito di mediare tra le strutture sociali oggettive e le pratiche dei soggetti. L’habitus è una struttura strutturata: possiede, cioè, un legame di dipendenza dal mondo sociale. Ma è anche una struttura strutturante, perché organizza le pratiche e la percezione delle pratiche” è un operatore di razionalità pratica che trascende la coscienza individuale.
E’ un meccanismo trasferibile da un contesto all’altro dell’agire sociale, dalle scelte di consumo a quelle del lavoro e politiche.
L’habitus è un principio generatore di strategie che permettono di far fronte a situazioni impreviste e continuamente rinnovate.
Anche il concetto di “interesse”, che ipotizza la teoria della Scelta Razionale Rational Action Theory, è per Bourdieu da rivedere perché con l’idea dell’habitus l’azione non è necessariamente orientata secondo lo schema della massimizzazione dei benefici, come sancisce la teoria della scelta razionale, ma avviene attraverso passaggi che analiticamente sono simili a un gioco.
Un giocatore che ha interiorizzato le regole agisce seguendo le procedure e le azioni previste da quel gioco facendole nel modo previsto senza porsi intenzionalmente come fine quello che c’è da fare. Non ha necessità di sapere esattamente quello che fa per farlo, non ha neppure il problema di sapere immediatamente che cosa gli altri possono fare in risposta.
Ciascuna persona si caratterizza per la quantità e la composizione delle risorse disponibili.
Ogni genere di risorsa che permette di appropriarsi dei “profitti” che derivano dalle relazioni poste in essere, quali prendere parte o l’essere situato in quel particolare contesto, può configurarsi come  capitale  individuale.
I principali capitali sono quattro:
economico (beni materiali e finanziari),
culturale (abilità, titoli),
sociale (risorse acquisite attraverso la condizione di far parte di un gruppo sociale), 
simbolico.

Le persone agiscono in più contesti, per il sociologo francese, ciascun contesto si caratterizza perché dotato di specifiche regole di funzionamento e forme di autorità. Questi contesti sono  chiamati campi che implicano una configurazione di relazioni oggettive tra posizioni, indipendente dalla volontà dei soggetti che operano in quel contesto.

Tutti i campi, sono tali perché presentano un elemento comune: il conflitto.

Il conflitto nasce per il tentativo di controllo delle risorse indispensabili in quel campo specifico.

Il controllo delle risorse nei conflitti, che interessano la mediazione, portano le parti a costruire delle posizioni, dominanti o subordinate, dipendenti dalla tipologia e dall’ammontare di capitale posseduto.

Se l’habitus determina il comportamento, lo stile delle parti, il campo delimita le azioni e le opportunità di soluzione della lite.

In genere chi occupa posizioni dominanti in una situazione di lite, tende a mettere in atto strategie di conservazione rispetto alla distribuzione di capitale esistente, tende a cedere il meno possibile, mentre chi è relegato in posizioni marginali è più disponibile a dispiegare strategie di sovversione, a trovare alternatine ad “allargare la torta”.

La teoria degli stakeholder

Le parti in lite possono essere analizzate secondo la teoria degli stakeholder.
Questo termine è formato  da due parole , “holder” è che tradotto può avere un significato ‘sufficientemente’ chiaro “l’holder è appunto il portatore di… qualcosa”, stake è più complesso indica il segnare, marcare, è una parola che indica l’agire. Il concetto che più rende l’idea è”portatore di interessi in grado di influenzare le organizzazioni con le quali è in relazione”.
Per inquadrare meglio il concetto, e utilizzarlo in mediazione lo stakeholder non è tale perché è organico ad un’impresa o istituzione, non è neppure un’azionista, ma assume questa natura perché interessato, coinvolto, toccato, chiamato in causa dall’azione di un terzo, di una impresa o di un’istituzione. Nella realtà quindi secondo la questa teoria ci sono  stakeholder produttori o detentori  di un bene o servizio  e stakeholder consumatori di beni o servizi e in mediazione lo sono non solo le parti ma anche gli avvocati delle parti.
In definitiva stakeholder è quel soggetto o gruppo interessato a influenzare i comportamenti dell’altro (impresa proprietario datore di lavoro ecc.) proprio perché è parte in causa, o perché ritiene di dover prendere posizione ed esprimerla, perché ne va dei suoi interessi. Gli stakeholder possono essere competenti e allora la loro azione sarà tesa a influenzare tecnicamente la lite, o possono essere motivati in quanto coinvolti ma non competenti.
Lo stakeholder più che riferirsi a soggetti portatori di interessi precisi, individua posizioni relazionali nei confronti della lite da mediare; gli interessi sono plurali, per questo motivo è necessario accordarsi per identificarli (la molteplicità ammette implicitamente le differenze). Infine caratteristica intrinseca alla mediazione, si ha a che fare anche con interessi diversi che possono essere fatti valere e invocati come esigibili.
Gli interessi in senso ampio sono oggetti che stanno a cuore, che attivano i soggetti: desideri, conoscenze, progetti, disponibilità, difficoltà, rifiuti. Gli stakeholder dispongono – e possono rendere disponibili ad altri interlocutori – interessi diversi, l’interesse è qualcosa che “sta tra”. Non c’è interesse se non in riferimento a posizioni e ad attori in relazione
Il conflitto tra gli interessi delle parti in lite, o stakeholder, è una caratteristica normale nei procedimenti  di mediazione. Ma ciò che è fondamentale è che il conflitto, venga fuori il più presto  possibile, anche  nel primo incontro, in modo che gli stessi stakeholder possano, in collaborazione con il mediatore, affrontarlo e risolverlo negli incontri  successivi.
Nessuna parte in lite ha già pronta una lista di requisiti completa; è invece compito del mediatore di aiutarle a fornire il proprio contributo al progetto di soluzione, la cosiddetta composizione della lite, facendo domande, scoprendo quali sono i fattori critici di successo e i rischi che possono avere un impatto negativo sui suoi interessi, e proponendo alternative.

Mediatore come manager

Il modello degli stakeholder rappresenta l’impresa non come una serie di transazioni di mercato, ma come una rete di scambi cooperativi, competitivi e conflittuali che coinvolge un ampio numero di individui e gruppi organizzati in vario modo. L’impresa è vista come un’organizzazione, dove molti differenti individui e gruppi tentano di raggiungere propri fini.
Altri studiosi del tema come Evan e Freeman hanno una visione dell’impresa interessante per la mediazione, per questi autori lo scopo dell’impresa, è quello di fungere da mezzo per il coordinamento degli interessi degli stakeholder.
Freeman e Evan (cit.), hanno  formulato questa ipotesi riferendosi alla teoria della giustizia di John Rawls (1982), secondo il loro ragionare stakeholder rappresentativi e razionali, possono  arrivare a soluzioni determinate da principi di “equa contrattazione” (Freeman e Evan, cit.)
Sempre questo modello assegna al manager (mediatore) il compito di determinare quali stakeholder sono importanti e di conseguenza quali stakeholder riceveranno attenzione (i detentori dei  diritti disponibili). Pertanto, è la percezione degli attributi di uno stakeholder da parte del manager a decidere dell’importanza dello stakeholder.
La teoria degli stakeholder, sorta per capire come funzione un’impresa complessa, è importante per la procedura di mediazione perché si può considerarla come un’impresa atipica che eroga servizi.
I due concetti fondamentali di questa teoria sono utilizzabili in mediazione:
1.  gli stakeholder hanno consapevolezza della loro posizione a causa del loro interesse in quella lite.
2.  gli interessi di entrambe le parti hanno valore intrinseco e meritano considerazione per se stessi nel processo decisionale manageriale, indipendentemente dalla capacità di una parte o stakeholder, di promuovere gli interessi di altri in quella lite.
Se si utilizza questo modo di pensare i mediatori sono simili  ai manager hanno un “rapporto fiduciario” con gli stakeholder interessati a quell’oggetto immateriale che si  chiama composizione della lite.
Questa teoria presuppone il fondamento morale del principio kantiano sul rispetto delle persone, principio secondo per il quale le persone, le parti in lite, devono essere trattate come fini in sé e non meramente come mezzi per qualche fine.
Sempre per questa teoria il mediatore manager assume un ruolo sociale importante che amplia le competenze tecniche, le qualità morali del suo lavoro, lo portano a cercare di tutelare il benessere delle parti e quindi  di favorire la salute del contesto in cui  opera.
Alcuni studiosi, in particolare Mitchell, hanno cercato di formulare una teoria per identificare e classificare le tipologie di stakeholder.
Sono state individuate, da questo autore, tre qualità specifiche:
1) potere dello stakeholder di influenzare gli obiettivi o le parti su cui agisce;
2) legittimità (morale) della relazione dello stakeholder con quei obiettivi;
3) urgenza della pretesa dello stakeholder sugli obiettivi.
Mitchell ed Etzioni (cit.), definiscono “potere” in una relazione se un soggetto ha o può ottenere accesso a mezzi coercitivi, utilitari o normativi per imporre la sua volontà nella relazione.
Considerano la “legittimità” quando un soggetto ha la percezione che, le azioni di un’entità sono desiderabili, giuste o appropriate all’interno di qualche sistema di norme, valori, credenze e definizioni costruite socialmente.
Considerano “l’urgenza” il grado a cui le pretese dello stakeholder richiedono immediata
attenzione da parte del manager-mediatore.
Queste qualità vanno evidenziate, dal mediatore, nel momento dei colloqui che svolge con le parti. Per capire come il mediatore possa riconoscerle, va precisato che:
1.  ogni qualità è una variabile;
2.  l’esistenza di ciascuna qualità è una realtà costruita socialmente;
3.  una, o entrambe le parti, può non essere consapevole di possedere una qualità, e se lo è, può decidere di non agire in modo  coerente.
In ogni caso, possedere una qualità non implica una buona relazione stakeholder-manager (parte-mediatore); una buona relazione dipende dall’interazione tra una o più qualità di una parte con una o più qualità dell’altra parte, inoltre va considerato che ciascuna parte si può relazionare con l’altra variando  le qualità che nette nella trattativa. Così, il potere guadagna di autorità attraverso la legittimità e di urgenza attraverso l’azione del comunicare.
La legittimità guadagna diritti attraverso il potere e voce attraverso l’urgenza.
L’urgenza favorisce l’accesso ai canali del processo decisionale per la soluzione della lite attraverso la legittimità e incoraggia l’azione dello stakeholder attraverso il potere.
Per ottenere un risultato serve il contributo dato di tutte e tre le qualità, è la fusione tra qualità che permette di costruire l’agire responsabile.
Il mediatore si attiverà per far crescere in ciascuna delle due parti in mediazione, e farà riconoscere all’altra parte il mix di potere, legittimità urgenza di entrambi.
Attraverso una tavola di  verità, Tab.1,  che evidenzia la presenza “1” o l’assenza “0” di una certa qualità si ottengono sette combinazione possibili. Quella indicata con “L” è possibile solo in via teorica, in quanto indica  un soggetto che non ha nessuna  delle tre qualità.

Tab1.1
POTERE
URGENZA
LEGITTIMITA’

0
0
0
L  Non Stakeh.
1
0
0
1 S.LATENTE
0
1
0
2  S.LATENE
1
1
0
3 S.IN ATTESA
0
0
1
4 S.LATENTE
1
0
1
5 S.IN ATESA
0
1
1
6 S.IN ATTESA
1
1
1
7  S.DEFINITIVO

Le sette combinazioni individuano sette tipologie di stakeholder, che si possono aggregare in tre categorie,
tre tipologie con uno solo dei tre attributi, denominati stakeholder “latenti” (aree 1, 2, 4);
tre classi con due attributi, denominati stakeholder “in attesa” (aree 3, 5, 6); 
una classe con tutti e tre gli attributi, denominata “stakeholder definitivi” (area 7).

Secondo Mitchell, “Latenti” sono gli stakeholder che presentano una sola qualità, questa caratteristica limita la loro capacità di relazione e li porta ad assumere una posizione passiva, infatti possedendo un basso livello delle altre due si determina un abbassamento della responsabilità nell’affrontare qualsiasi azione che coinvolge i propri interessi.
Più dettagliatamente questa passività nei confronti di altri stakeholder si declina con questi termini:
“passivi” situazione 1;   
“discrezionale” situazione 4 
“esigente” situazione 2.
In queste condizioni per il mediatore, che percepisce solo una qualità, sarà difficile far trovare una soluzione, perché siamo in presenza o di priorità espresse male o di conflittuali.
“In attesa”. Gli stakeholder con due qualità percepite, porta gli stessi ad assumere una posizione attiva, proprio perché sono in grado di sviluppare un aumento del livello di responsabilità relativa, nel caso della mediazione, alla situazione che vede coinvolti i loro interessi.
 Anche loro secondo la qualità mancante sono classificabili in tre classi:
“dominanti” prevalgono potere e legittimità situazione 5,
“dipendenti” prevalgono urgenza e legittimità situazione 6; 
“pericolosi” prevalgono potere e urgenza situazione 3.
In queste condizioni per il mediatore, sarà un po’ meno difficile far trovare una soluzione, perché è più facile trovare una priorità comune alle parti e, in queste situazioni occorre controllare che eventuali “dipendenti” non si lascino sovrastare da eventuali “dominanti” o peggio “pericolosi”.
“Definitivi” sono quelli con tutte le qualità, coloro con forte senso di responsabilità in grado di formulare soluzioni interessanti.
Qualsiasi posizione iniziale di stakeholder può raggiungere la posizione di stakeholder “definitivo” se acquisisce le qualità mancanti, che possono essere tali solo perché non ancora fatte esplicitare dal mediatore. La situazione più frequente si ha quando uno stakeholder “dominante”, dotato di potere e legittimità, può pretendere anche una risposta urgente nei confronti dell’altra parte, ad es. nelle liti di sfratto.
Non sempre questa possibilità di arricchimento è possibile.

Conclusioni

Il mediatore manager, che voglia seguire questa impostazione deve ricordare che ogni parte in gioco ha un suo specifico habitus che in qualche modo è tratteggiato nelle 7 tipologie degli stakeholder, e che  per iniziare una mediazione di deve porre una semplice ma fondamentale domanda: “chi o che cosa realmente conta”, cioè, chi sono gli stakeholder di  questa lite e “a che cosa il mediatore deve realmente prestare attenzione” cioè quali  sono le priorità che mette in campo ciascuna parte.
Se una mediazione è possibile, è perché esistono relazioni esteriori, necessarie, indipendenti dalle volontà individuali e, che possono essere colte solo facendo ricorso alla procedura di mediazione, in altri termini, proprio perché i soggetti non assumono tutti il significato dei loro comportamenti come dato immediato della coscienza e perché tali comportamenti racchiudono sempre un senso più ampio di quanto essi non sappiano o non vogliano.
La teoria degli stakeholder serve soprattutto per le mediazioni tra parti ad alto rischio di conflitto violento. Il mediatore manager deve far prendere in considerazione alle parti l’aspetto dell’interdipendenza dei fini etici con quelli economici, questa può essere la leva per facilitare la soluzione della lite tra due stakeholder, anche rissosi. Il mediatore deve riscoprire il caduceo di Mercurio o per dirla come Confucio, bisogna comportarsi come indica l’ideogramma “ li( ) ”.
Li è il modo in cui ogni persona deve comportarsi per mantenere l’ordine sociale. Ognuno è tenuto a comportarsi secondo il proprio ruolo, in altre parole ognuno ha un ruolo nella società e deve comportarsi in accordo con la propria posizione.

Carlo Baratta

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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2016