La mediazione delle controversie
condominiali
Aggiornato al c.d. Decreto del Fare ed
alla Riforma del condominio
di Giulio Spina
Altalex
Editore, 2014
Collana: Quaderni del diritto
Pagine: 160
Mediazione civile e conflitto
condominiale: excursus sul tipo di controversie
Estratto del volume "La
mediazione delle controversie condominiali"
Articolo del 22.2.2014 pubblicato
su Altalex.
CAPITOLO
II
IL
CONFLITTO CONDOMINIALE
3.2. Singole controversie condominiali e mediazione obbligatoria
L’art. 1117 c.c. delimita la disciplina del “condominio degli edifici”,
definendo le parti oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o
porzioni di piani di un edificio; a norma della richiamata disposizione, così
come modificata dalla L. n. 220/2012, sono oggetto di proprietà comune dei
proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il
contrario non risulta dal titolo:
“1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso
comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i
pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni
di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a
parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso
l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati,
per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le
installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come
gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi
centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia
elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la
ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso
informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al
punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini,
ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto
disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.
Al riguardo si osservi come la
Corte di cassazione, a sezioni unite, abbia affermato che anche al condominio
composto da due soli partecipanti, si applica la disciplina giuridica del
condominio e non quella della comunione[1];
da ciò consegue, ai nostri fini che anche il c.d. condominio
minimo soggiacerà
alla disciplina della mediazione obbligatoria in materia condominiale (che –
come si esporrà nel capitolo seguente – ha alcune peculiari caratteristiche
rispetto alla disciplina della mediazione obbligatoria ordinaria). Va, in via
generale, ancora precisato che, in armonia con la giurisprudenza di
legittimità, la valutazione della c.d. “condominialità” di una porzione
immobiliare non può prescindere da un’analisi della concreta
situazione fattuale[2].
Alla luce anche di tali
riflessioni, la riforma del 2012 ha poi aggiunto anche l’art. 1117-bis c.c. il quale, precisa, quanto all’ambito
di applicabilità della disciplina del condominio, che questa si applica, in
quanto compatibile, “in
tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii
di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo
1117”.
Il legislatore sembra così
recepire i recenti approdi interpretativi in tema di delimitazione della
materia condominiale, secondo cui, ai fini dell’attribuzione del diritto di
condominio, assume rilevanza il collegamento tra beni propri (le unità
immobiliari in proprietà solitaria) e beni comuni, collegamento che si
definisce come relazione di accessorietà (per l’esistenza o per l’uso):
difatti, “il condominio si
costituisce (ex lege)
non appena, per qualsivoglia fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano
del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti. Segue che, in un
edificio composto da più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva
a persone diverse, la disciplina delle cose, degli impianti e dei servizi di
uso comune, legati ai piani o alle porzioni di piano dalla relazione di
accessorietà, sia per quanto riguarda la disposizione sia per ciò che concerne
la gestione, è regolata dalle norme sul condominio”[3].
Alla luce quindi di tali
direttrici interpretative, nonché della disposizione da ultimo richiamata, può
ribadirsi che anche le controversie relative al c.d. condominio
orizzontale (particolare
complesso edilizio che, a differenza del classico condominio che si sviluppa in
verticale, si estende orizzontalmente; l’esempio classico è quello delle case a
schiera), così come quelle a c.d. super-condominio (complesso residenziale, formato da un
insieme di edifici, distinti in vari blocchi, ciascuno dei quali a sua volta
costituito da vari fabbricati costituiti in condominio[4])
rientrano nell’alveo applicativo della mediazione in materia condominiale.
È dunque al rapporto
di accessorietà che
occorre fare riferimento al fine di identificare se, in ogni singolo caso
concreto, si verta in un’ipotesi di controversia in materia di comunione o di
condominio, con le evidenti conseguenze con riferimento alla disciplina della
mediazione applicabile[5].
In applicazione poi del
principio in base al quale al fine di comprendere se una singola controversia
verta in materia condominiale, con il suo conseguente assoggettamento alla
disciplina della mediazione obbligatoria, occorre avere riguardo al dato oggettivo
della disciplina volta a regolare la specifica richiesta di tutela avanzata,
non, invece, la qualità dei soggetti in lite, la giurisprudenza (con
riferimento alla disciplina della mediazione precedente alla riforma del 2013)
ha escluso che la controversia nella quale si chieda l’accertamento di una servitù a favore a
carico di un fondo appartenente al condomino rientri in una causa in materia
condominiale; tale lite, difatti, rientrerebbe nell’ambito dei diritti reali
(controversia, ad ogni modo, assoggettata alla disciplina della mediazione
obbligatoria ma non, come accennato alla speciale disciplina dettata con
riferimento alla mediazione condominiale dall’art. 71-quater, disp. att., c.c.)[6].
In via generale la pronuncia in commento ha stabilito il principio in base al
quale le cause condominiali sarebbero quelle circoscritte a quelle relative
agli artt. 1117 e ss. c.c., preferendo dunque alla tesi soggettiva (ovvero che
qualifica come condominiali tutte le cause ove una delle parti sia un
condomino), la tesi oggettiva (ovvero quella fondata sul dato oggettivo della
materia trattata e non sulla qualità delle parti).
Va ancora ricordato come
recente giurisprudenza abbia precisato che correttamente va escluso lo stesso
presupposto della presunzione di cui all’art. 1117 c.c., in mancanza del comune
godimento del bene che
sia posto contemporaneamente al servizio delle proprietà esclusive e la cui
installazione sia di reciproco vantaggio per i singoli
condomini[7].
Nella materia contrattuale
rilevante ai fini della disciplina della mediazione obbligatoria rientrano
anche, in via generale, le controversie in tema di destinazione
d’uso delle parti comuni. A conferma di tale considerazione si
osservi come la recente riforma del condominio di cui alla L. n. 220/2012 abbia
aggiunto alla disciplina del condominio di cui agli artt. 1117 e ss. c.c. anche
gli artt. 1117-ter e 1117-quater in tema, rispettivamente, di modificazioni
delle destinazioni d’uso e di tutela delle destinazioni d’uso[8].
Tali controversie sono, in via generale, in conformità a quanto rilevato dalla
giurisprudenza di legittimità, sia quelle che attengono alle riduzioni
o limitazioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle
cose comuni, dunque liti “riguardanti
limiti qualitativi di esercizio delle facoltà contenute nel diritto di
comunione e, quindi, quelle relative al modo più conveniente ed opportuno in
cui tali facoltà debbono essere esercitate”, sia quelle relative ai limiti
qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, in
proporzione delle rispettive quote, cause quindi “relative alla misura dei servizi
condominiali debbono intendersi quelle concernenti una riduzione o limitazione
quantitativa del diritto dei singoli condomini”[9].
Gli artt.
1118 e 1119 c.c. dettano
poi due dei più importanti principi che regolano l’intera materia contrattuale:
il primo reca il principio generale secondo cui il diritto di ciascun condomino
sulle cose comuni è proporzionato al valore del piano o porzione che gli
appartiene; il secondo prevede il principio dell’indivisibilità delle parti
comuni del condominio (“le
parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la
divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa comune a
ciascun condomino”).
I successivi artt.
1120-1225 c.c. disegnano
invece la disciplina, anch’essa novellata dalla riforma del 2012, delle innovazioni e delle opere
sulle parti dell’edificio di proprietà comune, nonché della ripartizione
delle spese di
conservazione, godimento, manutenzione e ricostruzione delle parti
dell’edificio oggetto del condominio: anche le controversie vertenti in tale
materie, pertanto, risultano assoggettate alla disciplina della mediazione
obbligatoria in materia condominiale (disposizioni generali dettate dal D.Lgs.
n. 28/2010, in particolare dall’art. 5, co. 1-bis e 2-bis, nonché disciplina
speciale di cui all’art. 71-quater disp. att. c.c.), così come quelle vertenti
in materia di lastrici solari ad uso esclusivo (art. 1126 c.c.), costruzioni sopra l’ultimo
piano dell’edificio (art.
1127 c.c.) nonché di perimento totale o parziale dell’edificio
(art. 1128 c.c.).
Tutte le controversie
strettamente riguardanti il condominio, inteso come vicende relative alle parti
comuni[10],
sono quindi ricomprese nell’alveo applicativo della speciale
disciplina della mediazione condominiale obbligatoria.
Alla luce di quanto visto,
all’interno delle controversie in materia di condominio di cui all’art. 5, co.
1-bis, D.Lgs. n. 28/2010 rientrano anche quelle concernenti l’accertamento di un diritto
condominiale[11].
La riforma del 2012 ha poi
confermato che all’interno della materia condominiale rilevante in tema di
mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n. 28/2010
rientrano anche lecontroversie
relative all’amministratore condominiale di cui agli artt. 1129-1133 c.c.,
alle spese fatte dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o
dell’assemblea (art.
1134 c.c.), all’assemblea
dei condomini (artt. 1135-1137 c.c.)
ed al regolamento di condominio di cui all’art. 1138 c.c.
Rientrano quindi all’interno
dell’alveo applicativo della mediazione obbligatoria in materia condominiale
anche le questioni inerenti l’impugnazione delle delibere condominiali (sul
punto si tornerà nel prosieguo), nonché la responsabilità dell’amministratore e
la sua eventuale revoca.
Ricordando essenzialmente che
l’ultimo articolo delle disposizioni dettate dal codice civile in tema di
condominio (l’art. 1139 c.c.), dispone che per quanto non è espressamente
previsto dagli artt. 1117-1138 c.c. si osservano le norme dettate in tema di
comunione di cui agli artt. 1110-1116 c.c., quanto alle norme
dettate dalle disposizioni per l’attuazione del codice civile che l’art.
71-quater, disp. att., c.c. esplicitamente richiama in tema di mediazione
condominialevanno innanzitutto ricordate le disposizioni
dettate dagli artt. 61 e 62 in tema di scioglimento
del condominio[12] e, poi, quanto stabilito dall’art. 63, disp. att., c.c. in materia, in particolare, diriscossione dei contributi
condominiali. Sul punto, la richiamata disposizione prevede che
“per la riscossione dei
contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea,
l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un
decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è
tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati
dei condomini morosi”[13].
Se da un lato va quindi
rilevato che rientrano nella disciplina della mediazione obbligatoria in
materia condominiale anche le controversie in tema di riscossione dei
contributi condominiali, dall’altro va precisato che, come si preciserà tra
breve, la disciplina della mediazione
obbligatoria a norma dell’art. 5, co. 4, lett. a), D.Lgs. n. 28/2010 non si
applica, tra l’altro, nei procedimenti per ingiunzione inclusa l’opposizione,
fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della
provvisoria esecuzione, essendo peraltro stabilito dal co. 3
del medesimo art. 5 che, lo svolgimento della mediazione non può precludere la
concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari. Pertanto, anche con
riferimento alle controversie in tema di riscossione dei contributi
condominiali, dal punto di vista operativo:
- la
disciplina della mediazione obbligatoria non trova applicazione nei
procedimenti di ingiunzione;
- la
disciplina della mediazione obbligatoria non trova applicazione nei
procedimenti di opposizione al decreto ingiuntivo fino pronuncia sulle
istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
- la
disciplina della mediazione obbligatoria va applicata nei procedimenti di
opposizione al decreto ingiuntivo dopo che il giudice si è pronunciato su
tali istanze.
Vi sono poi disposizioni ancora
sull’amministratore[14],
in tema di assemblea condominiale(artt.
66 e 67, disp. att., c.c.), sulle tabelle millesimali (artt. 68 e 69, disp. att.,
c.c.)[15],
nonché sui regolamenti condominiali (in particolare gli artt. 70 e
72, disp. att., c.c.)[16]:
tutte controversie, alla luce del richiamo operato dall’art. 17-quater, disp.
att., c.c. alle richiamate norme del codice civile e delle disposizioni
attuative del medesimo codice richiamate, rientranti nella disciplina della
mediazione obbligatoria in materia condominiale. Normative rilevanti, peraltro,
anche come utile parametro valutativo degli eventuali accordi conciliativi
raggiunti in mediazione.
Alcune delle tematiche ora
menzionate meritano approfondimento. In particolare, ci si riferisce alle
controversie in tema di delibere assembleari e relative impugnazioni, a quelle
relative all’amministratore condominiale, alle liti in tema di riscossione dei
contributi condominiali e di modifica alle tabelle condominiali nonché a quelle
in tema di regolamento condominiale.
Su tale ultimo aspetto ci si è
chiesto se le controversie in materia di regolamento condominiale di natura
contrattuale (o
sulle tabelle millesimali di natura pattizia) rientrino o meno all’interno
della speciale disciplina della mediazione obbligatoria in materia di
condominio[17].
Se da un lato è stato evidenziato come alla natura negoziale o contrattuale del
regolamento condominiale corrisponda l’applicazione di una diversa disciplina
(quella specifica dettata in tema di condominio, ovvero le norme generali sui
contratti)[18],
all’interrogativo, giusto il richiamo alle norme in tema di condominio
effettuato dall’art. 71-quater, disp. att., c.c., va oggi confermata risposta
affermativa.
Quanto alla tematica della
legittimazione processuale (attiva e passiva) dell’amministratore del
condominio, appare utile richiamare l’evoluzione interpretativa
giurisprudenziale in materia.
In via generale occorre
pertanto ricordare che, quanto alla legittimazione attiva
dell’amministratore condominiale la giurisprudenza di
legittimità[19] nella pronuncia n. 18331/2010, resa a
sezioni unite, ha avuto modo di affermate, innanzitutto, che l’art. 1131, co.
1, c.c. conferisce una rappresentanza di diritto all’amministratore, il quale è
legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonché a proporre
impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni
stabilite dall’art. 1130 c.c.[20].
La Suprema Corte afferma dunque che l’amministratore di condominio, in base al
disposto dell’art. 1131, co. 2, 3, c.c., può anche costituirsi in giudizio e impugnare
la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea,
ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte
dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di
costituzione ovvero di impugnazione.
La giurisprudenza di
legittimità ha poi affermato che “nessuna
limitazione sussiste in relazione alla legittimazione dal lato passivo
dell’amministratore per qualsiasi azione anche di natura
reale, promossa contro il condominio, da terzi (o anche dal singolo condomino)
in ordine alle parti comuni dell’edificio”; in tal caso, prosegue
la Corte, citando la propria pronuncia n. 9093/2007 (emessa peraltro dalla
medesima sez. II), “l’amministratore
ha il solo obbligo di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri
rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea, con la conseguenza che
la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei
confronti di tutti i condomini”[21].
Così, richiamando le proprie pronunce n. 9206/2005 e n. 7958/2003, i Giudici di
legittimità hanno affermato che “la
legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi
dell’art. 1131, secondo comma, cod. civ. non incontra limiti e sussiste, anche
in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente
necessario, in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria,
promossa nei confronti del condominio”[22].
Ulteriore questione riguarda il
rapporto tra la legittimazione attiva
dell’amministratore condominiale e quella dei singoli condomini.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che poiché il
condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità
giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo
rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli
partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni
inerenti all’edificio condominiale[23];
ne consegue “che
l’intervento dei condomini in una causa iniziata dall’amministratore realizza
un’ipotesi di intervento della parte, che è perfettamente ammissibile anche
quando l’azione sia stata (in ipotesi) irregolarmente proposta per difetto di
legittimazione dell’amministratore, trattandosi in tal caso di sostituzione del
legittimato al non legittimato”[24].
All’interno della disciplina
della mediazione condominiale rientrano poi anche le controversie concernenti
le obbligazioni condominiali (nascenti pro
quota a carico dei
singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione)[25].
In particolare in materia di oneri condominiali, si
ricorda che i comproprietari di un’unità immobiliare sita in condominio sono
tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri
condominiali[26].
In materia di mediazione obbligatoria delle controversie in materia condominio
ed obbligazioni condominiali ulteriore questione da analizzare potrebbe essere
quella relativa alle obbligazioni propter rem in ambito condominiale.
Sul punto, si rileva preliminarmente che nei casi di obbligazione propter
rem, ovvero quando sussiste un’obbligazione accessoria al diritto
di proprietà o ad altro diritto reale che inerisce alla res seguendola in tutte le sue vicende, si
ritiene che l’art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n. 28/2010 non sia applicabile;
difatti, si tratta pur sempre di un’obbligazione e non di un diritto reale[27],
essendo l’obbligato propter rem tenuto ad adempiere la sua prestazione
nei confronti di un altro soggetto, che, però, non ha un potere immediato sul
fondo, ma, in qualità di creditore, può soltanto pretendere l’adempimento della
prestazione. Tuttavia, pur escludendone la natura reale, tali controversie
rientreranno nella materia condominiale di cui all’art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n.
28/2010, con la conseguente applicazione della disciplina della mediazione
obbligatoria[28];
disciplina generale, però, è bene ricordarlo, che per certi aspetti differisce
da quella specifica dettata per il procedimento di mediazione condominiale di
cui all’art. 71-quater, disp. att., c.c.
In generale, anche le controversie
tra amministratore condominiale e condomino in
merito alla gestione della cosa comune vanno considerate alla stregua delle
liti condominiali[29],
con la conseguenza che anche tali cause rientrano all’interno della materia
condominiale di cui all’art. 5, co. 1-bis, D.Lgs. n. 28/2010; in particolare,
come precedentemente rilevato, vanno considerate liti condominiali anche le
controversie che insorgono tra l’amministratore del condominio ed il singolo
condomino in ordine alla riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino in ragione
della sua partecipazione alla comunione[30].
Tra le controversie
assoggettate alla disciplina speciale della mediazione obbligatoria in materia
di condominio rientrano, come accennato, anche quelle in tema di impugnazione
delle delibere assembleari, con riferimento alle quali vige il
termine perentorio di trenta giorni per l’impugnazione ex art.
1137 c.c. (decorrente dalla data della delibera per i dissenzienti e gli
astenuti e, per gli assenti, dalla data della comunicazione). Sul punto basti
ricordare come recentemente sia stato ribadito, da un lato, che, sebbene
l’impugnazione possa essere proposta indifferentemente con ricorso o con atto
di citazione, la giurisprudenza[31],
in applicazione della regola generale della domanda dettata dall’art. 163
c.p.c., ha privilegiato la forma dell’atto di citazione, dall’altro, che, per
le delibere annullabili il termine per impugnare rimane sospeso per il periodo
necessario al compimento del tentativo di conciliazione[32].
Appare inoltre utile ricordare come recente giurisprudenza abbia ribadito che
ove un condomino impugni una delibera assembleare con la quale gli siano state
addebitate spese asseritamente in violazione dei criteri legali di riparto o in
misura eccedente rispetto alla propria quota millesimale, tale giudizio[33]:
- non
esige la pregiudiziale revisione della relativa tabella (che deve avvenire
con deliberazione unanime dei condomini o con provvedimento dell’autorità
giudiziaria);
- non esige, quindi, nemmeno la
necessaria estensione del contraddittorio a tutti i condomini, essendo
legittimato passivo il solo amministratore.
_______________
[1] Cass., SS.UU., 31 gennaio 2006, n. 2046.
I Giudici, in particolare,
hanno osservato che “l’esistenza
del condominio e l’applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero
delle persone che ad esso partecipano”; difatti, “la specifica fisionomia giuridica del
condominio negli edifici - la tipicità, che distingue l’istituto dalla
comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo
associativo - si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri
e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la
proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139
cod. civ. si applicano all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano
appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di
cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla
relazione di accessorietà”.
In materia di condominio si
veda, tra gli altri, S. Carbone, Obbligazioni e contratti - Responsabilità
dei condomini per le obbligazioni assunte dal condominio, in Corriere
giuridico (Il), 2008,
n. 5.
[2] Cass., 20 luglio 2009, n. 16829.
[3] Cass., SS.UU., 31 gennaio 2006, n. 2046.
[4] In argomento, la Suprema corte ha ribadito
l’applicabilità anche al super-condominio delle norme sul condominio ritenendo
che il cosiddetto supercondominio non possa trattarsi come una comunione ordinaria
di natura convenzionale costituita fra i vari condomini per la gestione delle
parti comuni relative al complesso residenziale. Sul punto è stato osservato
che il supercondominio è una figura “di
creazione giurisprudenziale, alla quale sono applicabili le norme relative al
condominio, appunto perché si verte nella materia delle ‘parti comuni’ indicate
dagli art. 1117 cod. civ. e 62 disp. att. cod. civ., caratterizzate dal
rapporto di accessorietà necessaria che le lega alle singole proprietà
individuali, delle quali rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso, come per
esempio le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi
idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla
disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che invece
sono dotate di una propria autonoma utilità, come per esempio le attrezzature
sportive, gli spazi di intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi
nel comprensorio (cfr. Cass. 3 ottobre 2003 n. 14791)” (Cass., 18
aprile 2005, n. 8066).
[5] Per tale principio si veda, tra le altre,
Cass. n. 14791/03 e Cass. n. 9096/00.
[6] Trib. Genova, 18 novembre 2011, n. 4574.
Nel caso di specie, era stato domandato l’accertamento di una servitù a favore
del fondo di parte attrice a carico di un fondo del condomino convenuto.
[7] In tal senso si veda Cass., 8 gennaio 2014,
n. 147, in Navigatore settimanale del diritto,
n. 3/2014. La sentenza impugnata ha escluso l’esistenza nel fabbricato di un
unico impianto elettrico al servizio degli appartamenti di proprietà esclusiva,
avendo piuttosto accertato – alla stregua delle deposizioni rese dai testi
escussi – che le unità immobiliari erano dotate di distinti e autonomi
impianti; pertanto, correttamente ha escluso lo stesso presupposto della
presunzione di cui all’art. 1117 c.c. (peraltro, nell’atto costitutivo del
Condominio non era fatta alcuna menzione dell’impianto de
quo).
[8] Art. 1117-ter. «Modificazioni delle
destinazioni d’uso.
Per soddisfare esigenze di
interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i
quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore
dell’edificio, può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni.
La convocazione dell’assemblea
deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di
maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi
mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da
pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.
La convocazione dell’assemblea,
a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e
la nuova destinazione d’uso.
La deliberazione deve contenere
la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui ai
precedenti commi.
Sono vietate le modificazioni
delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla
sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico».
Art. 1117-quater. «Tutela delle
destinazioni d’uso.
In caso di attività che
incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle
parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono
diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far
cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera
in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal
secondo comma dell’articolo 1136».
(Si veda in argomento, inoltre,
quanto disposto dall’art. 7 c.p.c. che, al n. 2 del co. 3, il quale attribuisce
alla competenza del Giudice di Pace, qualunque ne sia il valore, la competenza
funzionale con riferimento alle liti relative alla misura ed alle modalità
d’uso dei servizi di condominio di case).
[9] Rientrano pertanto in tali controversie,
tra le altre, quelle relative: all’azione proposta da un condomino al fine di
contestare la legittimità dell’individuazione assembleare del posto auto ad
esso assegnato senza tenere conto dell’eccessiva difficoltà di accesso ed
uscita dallo stesso (Cass. Civ. n. 11861/2005); alla domanda volta
all’accertamento dell’uso illegittimo di un’area comune (si vada, Trib. Monza,
13 novembre 2006); all’uso della chiave per l’utilizzo dell’ascensore (Cass.
Civ. n. 4256/2006); all’uso dell’area comune destinata a parcheggio dei veicoli
dei condomini (Cass. Civ. n. 11861/2005); alla misura del godimento del
servizio comune di riscaldamento (Cass. Civ. n. 17660/2004).
[10] In questi termini si veda M. Crocitto, La
mediazione in condominio dopo il decreto del fare (D.L. N. 69/2013 convertito
con modificazioni nella legge n. 98/2013), in La
nuova procedura civile, n. 4/2013, pp. 30 e ss.
[11] Si pensi, a titolo esemplificativo alle
liti instaurate da un condomino affinché venga accertato il proprio diritto al
distacco dall’impianto idrico condominiale e all’uso del muro perimetrale per
l’installazione delle diramazioni e del contatore relativi alla fornitura
idrica esclusiva; si pensi, ancora, alle controversie relative alla rimozione
dalla facciata dell’edificio condominiale di uno scambiatore di calore
installatovi da altro condomino a motivo del pregiudizio arrecato al decoro
architettonico e alla sicurezza dell’edificio stesso (Cass. n. 10519/1993),
ovvero a quella concernente la possibilità per l’assemblea dei condomini di
destinare il cortile comune ad un uso diverso da quello cui è naturalmente
destinato (Cass. Civ. n. 8379/2006). Sul punto si veda quanto già osservato in
G. Spina, La mediazione in materia di condominio,
eBook, Altalex, 2012, nonché in M. Benigni, L. Capacci, G. Spina, P. Vannucci, Nuova
mediazione obbligatoria. R.C.A., condominio, reclamo tributario,
Altalex Editore, 2012, pp. 49 e ss.
«Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti
per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti
che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere
sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio
separato.
Lo scioglimento è deliberato
dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo
1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un
terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la
separazione».
Art. 62.
«La disposizione del primo comma dell’articolo precedente
si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune
delle cose indicate dall’articolo 1117 del codice.
Qualora la divisione non possa
attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la
sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo
scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la
maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso».
[13] La norma, così come novellata dalla L. n.
220/2012, dispone altresì quanto segue.
“I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati
in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.
In caso di mora nel pagamento
dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può
sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili
di godimento separato.
Chi subentra nei diritti di un
condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi
relativi all’anno in corso e a quello precedente.
Chi cede diritti su unità
immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi
maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica
del titolo che determina il trasferimento del diritto”.
[14] Art. 64. «Sulla revoca dell’amministratore, nei casi indicati
dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131
del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato,
sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente.
Contro il provvedimento del
tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci
giorni dalla notificazione o dalla comunicazione».
Art. 65. «Quando per qualsiasi causa manca il
legale rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o proseguire una lite
contro i partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore
speciale ai sensi dell’articolo 80 del codice di procedura civile.
Il curatore speciale deve senza
indugio convocare l’assemblea dei condomini per avere istruzioni sulla condotta
della lite».
Si veda inoltre l’art. 71,
secondo cui «Il registro
indicato dal quarto comma dell’articolo 1129 e dal terzo comma dell’articolo
1138 del codice è tenuto presso l’associazione dei proprietari di fabbricati»,
l’art. 71-bis. in tema di requisiti necessari per lo svolgimento dell’incarico
di amministratore di condominio nonché l’art. 71-ter sull’attivazione
del sito internet del condominio «che
consenta agli aventi diritto di consultare ed estrarre copia in formato
digitale dei documenti previsti dalla delibera assembleare» (le
relative spese per l’attivazione e la gestione sono poste a carico dei
condomini).
«Ove non precisato dal titolo
ai sensi dell’articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123,
1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità
immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento
di condominio.
Nell’accertamento dei valori di
cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e
dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare».
Art. 69.
«I valori proporzionali delle singole unità immobiliari
espressi nella tabella millesimale di cui all’articolo 68 possono essere
rettificati o modificati all’unanimità. Tali valori possono essere rettificati
o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza
prevista dall’articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi:
1) quando risulta che sono
conseguenza di un errore;
2) quando, per le mutate
condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di
incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari,
è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare
anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha
dato luogo alla variazione.
Ai soli fini della revisione
dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al
regolamento di condominio ai sensi dell’articolo 68, può essere convenuto in
giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore. Questi è
tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.
L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è
tenuto al risarcimento degli eventuali danni.
Le norme di cui al presente
articolo si applicano per la rettifica o la revisione delle tabelle per la
ripartizione delle spese redatte in applicazione dei criteri legali o
convenzionali».
[16] Art. 70. «Per le infrazioni al regolamento
di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una
somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è
devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie».
Art. 72. «I regolamenti di
condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti artt. 63, 66,
67 e 69 disp. att. c.c. ».
[17] Sul punto si rimanda a G. Spina, Singole
mediazioni civili obbligatorie, in G. Falco - G. Spina (a cura di),La nuova mediazione. Regole e tecniche
dopo le modifiche introdotte dal “Decreto del fare” (d.l. 69/2013, conv., con
mod., in l. 98/2013), Giuffrè, 2014, pp. 235 e ss: l’ipotesi
classica che si faceva di regolamento condominiale di natura contrattuale
consisteva in quel regolamento predisposto dall’unico proprietario dell’intero
edificio, accettato progressivamente in sede di stipula dei singoli atti di
trasferimento delle unità immobiliari nelle quali il fabbricato è stato
frazionato. Tale regolamento veniva considerato di natura contrattuale in
quanto la sua origine era fondata sulla sua accettazione (progressivamente) da
parte di tutti i partecipanti al condominio, diversamente da quanto avviene
nella formazione del regolamento condominiale di natura assembleare. Tuttavia,
la giurisprudenza di legittimità è giunta a considerare la natura contrattuale
o meno del regolamento condominiale non in base alla sua origine, bensì in
ragione del contenuto delle sue norme: di natura regolamentare ovvero patrizie,
volte cioè a limitare i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o
comuni, ovvero ad attribuire ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto ad
altri (si veda al riguardo Cass., 30 dicembre 1999, n. 943). Così, ben può
avvenire che solo alcune clausole di un regolamento abbiano natura
contrattuale, quelle cioè aventi ad oggetto la limitazione dei diritti
condominiali.
[18] Sul punto è stato osservato, ad esempio che
(si veda al riguardo Cass., 14 agosto 2007, n. 17694) “per la modifica delle clausole di
natura contrattuale sarà richiesta l’unanimità di tutti i condomini, proprio in
ragione della natura patrizia dell’accorto che si realizza, secondo i principi
generali in tema di contratto, con l’accordo tra le parti, mentre per la
modifica delle clausole di natura regolamentare troverà applicazione la
disciplina dettata in tema di condominio dall’art. 1138 c.c., ovvero l’adozione
della delibera assembleare con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma
2, c.c.”. Quanto alle tabelle condominiali di natura pattizia, poi,
va osservato che accertata detta natura (natura che deve risultare da una
volontà chiaramente ed espressamente manifestata o, comunque, desumibile in
modo non equivoco dalle disposizioni del regolamento), “non potrà trovare applicazione la
nozione di errore di cui all’art. 68 disp. att. c.c. (connesso all’obiettiva
divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore
proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle), dovendosi invece fare
riferimento a quella dettata in tema di annullabilità dei contratti dall’art.
1428 c.c., dove l’errore non rileva nella sua oggettività, ma solo in quanto
abbia determinato un vizio del consenso (si veda al riguardo, tra le altre,
Cass. 12 giugno 2001, n. 7908). La conseguenza pratica, come argomentato della
medesima corte, è che non sarà esperibile l’azione ex 69 disp. att. c.c.; dovrà invece farsi ricorso
all’ordinaria azione di annullamento del contratto per vizio del consenso a
norma dell’art. 1428 c.c.”. Ibidem, 235 e ss.
[19] Si veda Cass., SS.UU., n. 18331/2010.
[20] Quando cioè si tratta: a) di eseguire le
deliberazioni dell’assemblea e di curare l’osservanza dei regolamenti di
condominio; b) di disciplinare l’uso delle cose comuni, così da assicurarne il
miglior godimento a tutti i condomini; c) di riscuotere dai condomini
inadempienti il pagamento dei contributi determinati in base allo stato di
ripartizione approvato dall’assemblea; d) di compiere, infine, gli atti
conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
[21] Si veda al riguardo Cass. n. 22886/2010.
[22] Cass. n. 22886/2010.
[23] Si veda al riguardo, tra le altre, Cass. n.
4014/2007.
[25] Si veda sul punto Cass. Civ., SS.UU., n.
20076/2006, nonché Cass. Civ. n. 12208/1993, Cass. Civ. n. 2249/2000 e Cass.
Civ. n. 269/2003.
[26] Principio informatore della materia, al cui
rispetto è tenuto il Giudice di Pace anche quando decide secondo equità ai
sensi dell’art. 113, co. 2, c.p.c. (Cass. Civ. n. 21907/2011).
[28] Si veda sul punto L. Viola, il quale nota
in argomento come “in
pratica, è inutile, sotto il profilo della disciplina della mediazione,
interrogarsi circa la natura delle obbligazioni propter rem in ambito condominiale, perché sia che abbiano natura
reale e sia che abbiano natura obbligatoria, comunque rientrerebbero nella
materia “del condominio” e, dunque, assoggettabili al regime ex d.lvo 28/2010”. L. Viola, La
nuova mediazione civile (d.vo 28/2010), in Trattato di G. Cassano (Condominio
e diritti reali), Padova, 2011.
[29] Si veda al riguardo Cass. n. 2172/2004,
Cass. n. 12274/2002, Cass. n. 2026/1994, Cass. n. 8734/1993 e Cass. n.
9828/1992.
[30] Cass. n. 20076/2006.
[31] Cass. n. 18117/2013 e Cass. n. 14661/2013.
[32] G.D. Nuzzo, L’impugnazione
delle delibere condominiali tra legge di riforma e recenti applicazioni
giurisprudenziali, in La Nuova Procedura Civile,
n. 4/2013.
[33] Si veda al riguardo Cass. n. 1451/2013, in Navigatore settimanale del diritto n. 6 del 2014. In senso conforme si
veda anche Cass. n. 14951/2008.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 31/2014
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)