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13 febbraio 2014

8/14. Attore vittorioso, fase stragiudiziale e di mediazione, spese legali, rifusione (Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2014)

=> Trib. Rovereto, 1 ottobre 2013

Qualora l'attore chieda in giudizio la rifusione anche delle spese legali nella fase stragiudiziali e, in particolare per le trattative e di mediazione va ribadito che "il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all'instaurazione del giudizio divengono componente del danno da liquidare e, come tali, devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali" (1). Vanno però riconosciute solo le spese di mediazione, qualora le ulteriori spese esposte attengano a pretese attività di trattativa compiute da altro legale da quello officiato per la fase giudiziale, che però non risultano provate (non potendosi considerare prova sufficiente il mero avviso di parcella depositato).

(1) In tal senso si veda Cass. n. 2275/06.

Fattispecie: domanda di risarcimento danni da sinistro stradale.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2014

Tribunale di Rovereto
1 ottobre 2013
Sentenza

…omissis…

MOTIVI DELLA DECISIONE

Omesso lo svolgimento del processo, a norma del nuovo testo dell'art. 132, comma 2 nr. 4 c.p.c. introdotto dall'art. 45, comma 17 legge nr. 69 del 2009, la domanda proposta dall'attore è solo parzialmente fondata e va, pertanto, accolta nei limiti di seguito precisati.

L' an debeatur non risulta contestato dalla società convenuta ed è un dato che può quindi ritenersi pacifico. In particolare è pacifico che l'attore ha riportato i danni di cui chiede il risarcimento a seguito del sinistro stradale dd. 06.03.2009, quando il conducente e proprietario della VW Polo targata ... M.B. perdeva il controllo del mezzo in loc. Val di Gresta, finendo fuori strada, contro le rocce. L'attore era trasportato sul suddetto veicolo e, pertanto, ha diritto ad ottenere il risarcimento dall'impresa di assicurazione r.c. auto del veicolo sul quale era a bordo, nella specie Ina Assitalia S.p.A. (ora Generali Ina Assitalia S.p.A.), a norma dell'art. 141 cod. ass., a prescindere dall'accertamento di responsabilità del conducente.

Peraltro la società convenuta ha eccepito il concorso colposo del danneggiato, a norma dell'art. 1271, comma 1 c.c., allegando il mancato uso delle cinture di sicurezza che dovrebbe desumersi dalla pretesa incompatibilità con le lesioni riportate.

La relativa eccezione è manifestamente infondata e va, come tale, rigettata, perché dalla documentazione clinica prodotta non solo non emerge detta pretesa incompatibilità ma emerge il contrario. Infatti, il certificato ospedaliero dd. 12.03.2009 attesta un "trauma da cinture con emisoma destra" (cfr. doc. 3 att.). Coerentemente la CTP medico - legale svolta nella fase stragiudiziale da parte del medico fiduciario della Compagnia assicurativa, dott. G.C. in data 08.09.2010 attesta espressamente la "compatibilità fra le lesioni accertate ed il corretto uso dei presidi obbligatori di protezione verosimile" (cfr. doc. 39 att.). Precisato che l'onere probatorio del concorso colposo del danneggiato, ai fini della riduzione del risarcimento di cui all'art. 1227, comma 1, incombe sulla convenuta, che non vi ha in alcun modo provveduto, le emergenze istruttorie sopra indicate consentono di ritenere raggiunta persino la prova contraria, ossia che il danneggiato ha fatto corretto uso delle cinture di sicurezza ed è, pertanto, esente da colpa alcuna.

L'attore ha pertanto diritto all'integrale risarcimento del danno patito.

Ciò precisato e venendo alla quantificazione dei danni, va precisato come l'attore abbia fondato l'originaria domanda, per complessivi euro 345.626,85, sulla CTP medico legale redatta dal proprio medico fiduciario, dott. A.S., in data 04.08.2010 (cfr. doc. 29). Peraltro, nella prima memoria di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. la difesa dell'attore dichiarava espressamente di accettare e riconoscere "come congrua la valutazione del consulente medico legale di controparte, dott. C., sia con riferimento al danno biologico permanente e temporaneo, sia con riferimento al danno da incapacità lavorativa permanente" (cfr. memoria depositata il 11.01.2013, pg. 4), in riduzione rispetto alle originarie pretese. E' questa la ragione per la quale non è stata disposta alcuna CTU, non sussistendo tra le parti contestazioni sostanziali in merito.

Dalla documentazione clinica prodotta (cfr. doc.ti 1-28) e dalla consulenza di parte convenuta sopra citata emerge che l'attore a seguito del sinistro ha riportato un "politruama, trauma cranico facciale, contusione lombare, contusione spalla destra, contusione e distorsione 1° dito mano destra", con esiti permanenti del 10%, e temporanei parziali al 75% di giorni 30, al 50% di ulteriori gironi 30 e al 25% di giorni 60. La valutazione dell'inabilità temporanea è giustificata "dalla complessità clinica del caso (...) e dalle terapie riabilitative cui l'infortunato si è sottoposto, mentre l'invalidità permanente "è data dalla persistenza dei disturbi visivi conseguiti a lesione vitrale, da risentimento doloroso funzionale nei movimenti attivi e passivi della colonna cervicale e dorso lombare (...), da minima alterazione doloroso funzionale nei movimenti della spalla destra, in soggetto destrimane, dalle parestie dell'arto superiore destro confermate dalla indagini EGM (...), da deficit funzionale del 1é dito della mano destra" (cfr. CTP dott. C., sub doc. 39 att.). Infine, il CTP ha riconosciuto un danno alla capacità lavorativa permanente del 7%, rispetto all'attività svolta al momento del sinistro di artigiano edile e, più precisamente, di intonacatore, che implica la necessità di sollevare pesi, fare sforzi fisici, salire su ponteggi ed afferrare utensili.

Questi sono gli elementi di valutazione del danno alla persona certi e vincolanti per questo Giudice, in quanto riconosciuti da entrambe le parti. Resta, invece, contestato il danno da lesione alla capacità lavorativa specifica temporaneo, per i 4 mesi della fase acuta della malattia, che non può ritenersi, come pretende la difesa di parte convenuta, escluso per il semplice fatto che controparte ha accettato le valutazione della CTP di parte convenuta. Infatti, da un lato, la CTP in questione nulla ha detto al riguardo e, pertanto, se è vero che non ha riconosciuto alcun danno lavorativo temporaneo non ha neppure escluso espressamente che vi sia stato e, dall'altro, l'accettazione della difesa attorea della CTP, non a caso sopra testualmente riportata, attiene al solo vecchio danno biologico, permanente e temporaneo e alla lesione permanente alla capacità lavorativa specifica, non a quella temporanea.

Venendo alla liquidazione delle singole voci di danno ed iniziando dal danno non patrimoniale, ritiene questo Giudice di dover applicare le c.d. tabelle milanesi versione 2009 in vigore al momento del fatto e le prime successive alle note sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno ridefinito sul piano concettuale la materia del danno non patrimoniale (cfr. Cass. Sez. un. 11.11.2008, nr. 26972, 26973, 26974 e 26975). Proprio per adeguarsi all'insegnamento delle Sezioni Unite, l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha elaborato le "Nuove tabelle 2009 per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisicia e dalla perdita del rapporto parentale", che come è noto rappresentano la novità, rispetto alle vecchie tabelle, di inglobare nel valore del punto base per l'invalidità permanente le vecchie categorie del danno biologico e del danno morale, ossia sia le menomazioni per così dire esterne che quelle relative alla sofferenza interna. Pertanto, non si potrà liquidare alcuna somma aggiuntiva a titolo di danno morale, trattandosi di voce già compiutamente considerata all'interno del valore tabellare.

Considerando che, al momento del sinistro, l'attore aveva 57 anni essendo nato il 05.11.1951, il danno biologico da invalidità permanente al 10% è di euro 18.178,00,00.
Per l'inabilità temporanea il valore tabellare di euro 88,00 al giorno, comporta il riconoscimento di euro 1.980,00 per i 30 giorni di parziale al 75% e di euro 1.320,00 per i 30 giorni di parziale al 50% e per i 60 giorni di parziale al 25%, per un totale di euro 4.620,000.
L'attore ha poi richiesto una forte personalizzazione del danno non patrimoniale al 25%, senza però non solo provare ma ancor prima allegare le relative circostanze di fatto che possano giustificarla.

In particolare la richiesta viene giustificata sotto un duplice profilo: da un lato per l'incidenza che i postumi in particolare permanenti hanno svolto sull'attività lavorativa; dall'altro perché si dovrebbe presumere lo scadimento della vita complessiva dell'attore, sotto il profilo delle attività realizzatrici della personalità.

Ma la prima giustificazione è del tutto infondata perché l'incidenza sull'attività lavorativa integra un danno patrimoniale, come si avrà modo di vedere da qui a breve, e considerarla anche nell'ambito del danno non patrimoniale, sotto il profilo della personalizzazione del valore tabellare, comporterebbe inevitabilmente un'indebita duplicazione risarcitoria, perché una medesima conseguenza pregiudizievole verrebbe risarcita due volte, con l'espediente di chiamarla diversamente. D'altra parte proprio l'espresso riconoscimento di un danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa specifica, preclude la possibilità di riconoscere un danno non patrimoniale c.d. da cenestesi lavorativa, che si ha quando un soggetto non subisce alcuna contrazione di reddito ma è obbligato ad un maggior sforzo ed usura per continuare a produrre lo stesso reddito.

La seconda giustificazione è motivata dalla seguente osservazione: "ogniqualvolta vi sia, in conseguenza di un danno fisico, un'incapacità a svolgere attività realizzatrici della personalità e che si incentrano sul godimento di beni ulteriori e diversi rispetto alla salute, si determina un danno ulteriore che deve essere risarcito sempre quale danno non patrimoniale" (cfr. comparsa conclusionale, pg. 7). E' facile però obiettare che anche in tal modo si mira ad ottenere una duplicazione risarcitoria, attraverso un'indebita confusione tra il piano dell'interesse leso ovvero dell'ingiustizia del danno (c.d. danno evento) e quello delle singole conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno conseguenza). Nel caso di specie vi è un solo interesse leso, quello della salute. Dalla lesione di questo interesse possono conseguire diverse conseguenze pregiudizievoli, sia sotto il profilo c.d. esterno (o esistenziale) che sotto quello della sofferenza interna (c.d. danno morale).

Ebbene il valore tabellare c.d. base risarcisce la somma di tutte queste conseguenze pregiudizievoli che si realizzano secondo l'id quod plerumque accidit. La c.d. personalizzazione del danno biologico non costituisce un diritto automatico del danneggiato fondato sull'impossibilità di proseguire la propria vita come prima ovvero sulla base della semplice valorizzazione delle concrete conseguenze pregiudizievoli subite e ciò perché quanto viene risarcito col valore tabellare per l'invalidità permanente non costituisce un risarcimento base da adeguare sempre e comunque alle peculiari ed irrepetibili situazioni contingenti del danneggiato, ma il giusto risarcimento per i casi ordinari, costituenti la maggioranza dei casi. Oggetto del risarcimento è insomma, per usare il linguaggio del legislatore (cfr. artt. 138 e 139 cod. ass. priv.), "l'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato...", secondo quanto comunemente, ossia ordinariamente, si verifica. Solo "qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionale personali", l'ammontare del risarcimento può essere adeguato, come previsto dalle norme citate. Ma l'uso dell'ipotetica mostra come si tratti non di un adeguamento automatico da praticare in relazione alle peculiari condizioni soggettive del danneggiato, che per ciascun uomo sono un unicum irrepetibile, ma un caso particolare che si verifica solo nell'ipotesi in cui le conseguenze pregiudizievoli siano considerevolmente maggiori rispetto a quanto accade ordinariamente per la classe di individui di appartenenza del danneggiato. Insomma, detto altrimenti, si può senz'altro presumere che dalle lesioni sia conseguito lo scadimento della vita del danneggiato, sotto il profilo dell'attività realizzatrici della persona, ma questo danno è già interamente contemplato dal risarcimento secondo i valori tabellari base. Invece, non può affatto presumersi che detto scadimento sia, nel caso specifico, più intenso e pregnante rispetto a quanto accade nella normalità dei casi, che è l'autentico presupposto che consente la c.d. personalizzazione del danno.

Nel caso di specie l'attore non ha minimamente allegato una qualsiasi circostanza di fatto dalla quale si possa argomentare che la lesione subita, per usare ancora il linguaggio del legislatore, "incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionale personali" ed in misura significativamente differenziata per eccesso rispetto a quanto accade normalmente.

Analogo discorso vale per l'inabilità temporanea.

In particolare la tabella milanese del 2009 prevede, come è noto, un valore base di euro 88,00 al giorno, che può lievitare sino ad euro 132,00 a seguito della personalizzazione, che però non è affatto automatica ma implica l'allegazione e la dimostrazione della concreta sussistenza di conseguenze pregiudizievoli, durante la fase acuta della malattia, superiori all'ordinario. Anche in questo caso difetta nella specie la relativa allegazione, prima ancora della prova, delle specifiche circostanze che devono sorreggere la conclusione che il periodo di malattia ha comportato per il danneggiato un carico di conseguenze pregiudizievoli di natura esistenziale e/o di sofferenza morale superiore a quanto accade ordinariamente e, pertanto, il relativo danno deve essere risarcito col riconoscimento del solo valore tabellare base. Per esemplificare i casi in cui è possibile concedere la personalizzazione si pensi a storie cliniche particolarmente travagliate, con complicanze e ripetuti ricoveri e interventi chirurgici di natura cruenta ovvero malattie di per sé particolarmente dolorose (si pensi alle lesioni da ustioni). Evenienze che non ricorrono in alcun modo nel caso di specie, relativo a lesioni particolarmente lievi sia pure plurime, tanto da non essere state neppure allegate dall'attore.

Si deve pertanto escludere la richiesta personalizzazione ed il danno non patrimoniale complessivo ammonta pertanto ad euro 22.798,00 (= euro 18.178,00 + 4.620,00).

Quanto al danno patrimoniale, a titolo di danno emergente, vanno senz'altro riconosciuti euro 1.349,88 per spese di cure mediche debitamente documentate dall'attore che sono senz'altro pertinenti e congrue (cfr. doc.ti 41 -59). L'attore chiede la rifusione anche delle spese legali nella fase stragiudiziali e, in particolare per le trattative e di mediazione, rispettivamente per euro 598,53 ed euro 121,00 (cfr. doc. 38 e 39).

Al riguardo è ben noto l'insegnamento della Cassazione secondo il quale "il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all'instaurazione del giudizio divengono componente del danno da liquidare e, come tali, devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali" (cfr. Cass., 02.02.2006, n. 2275). Nella specie, però, vanno riconosciute solo le spese di mediazioni, nell'indicata misura di euro 121,00, perché le ulteriori spese esposte attengono a pretese attività di trattativa compiute da altro legale da quello officiato per la fase giudiziale, che però non risultano minimamente provate, non potendosi considerare prova sufficiente il mero avviso di parcella depositato. D'altra parte l'attore è libero di incaricare il numero di difensore che crede ma non può pretendere di scaricare il relativo aumento di costi sull'assicuratore, che deve invece essere chiamato a rispondere solo per le spese per le attività che risultano congrue e necessarie per garantire il diritto di difesa nella fase stragiudiziale.

Quanto al danno patrimoniale da lucro cessante, l'attore richiede il risarcimento per la lesione alla capacità lavorativa specifica sia permanente che temporanea, liquidato sulla base del reddito netto (imponibile) annuo di euro 206.071,00 ottenuto nel 2008 ed emergente dal Modello Unico 2009 (cfr. doc. 35). A tal fine invoca l'art. 137 cod. ass. che, come è noto, prescrive che il danno si determina "(...) per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni (...)". Ai fini della concreta prova del danno ha poi inizialmente allegato che, a causa delle lesioni subite e dell'impossibilità di proseguire l'attività lavorativa, ha dovuto chiudere l'impresa, dimostrando di aver dichiarato redditi nell'anno 2010 per soli euro 2.940,00 (cfr. modello Unico 2011, sub doc. 26), salvo poi ammettere nelle scritture difensive conclusionali che ha ripreso l'attività lavorativa, "sebbene non riesca più a sostenere i precedenti ritmi lavorativi e, a causa dei propri problemi di salute, si veda spesso costretto a rifiutare le proposte di lavoro che riceve, con conseguente riduzione del reddito percepito.." (cfr. comparsa conclusionale, pg. 9). Infine, l'attore non ha prodotto le dichiarazioni dei redditi nei tre anni precedenti, ma solo quella del 2009 e quella del 2007, dalla quale emerge un reddito imponibile nettamente inferiore (di euro 57.950,00 cfr. sub doc. 40), sostenendo che nel 2008 ha lavorato all'estero e non ha pertanto dichiarato reddito in Italia.
A sua volta la difesa della convenuta contesta l'attendibilità delle dichiarazioni dei redditi 2009, dalla quale emerge un picco di reddito che non trova alcun confronto con gli anni precedenti e con gli stessi studi di settore. Non solo ma osserva come dall'estratto visura delle imprese individuali a suo nome (cfr. doc. 6 conv.) emerge come l'attore abbia una naturale propensione per la continua apertura e chiusura di imprese individuali.

Così esposti i dati rilevanti per la decisione, si deve osservare come l'art. 137 cod. ass., secondo la prevalente e preferibile interpretazione giurisprudenziale non preveda criteri fissi ed automatici, nel minimo o nel massimo, di risarcimento per la lesione alla capacità lavorativa specifica, ma solo dei criteri presuntivi agganciati a specifiche prove (dichiarazioni dei redditi). In effetti è evidente la difficoltà della liquidazione di un danno proiettato al futuro, perché nulla esclude che il reddito percepito al momento dell'illecito si sarebbe modificato, in aumento o in difetto, pur in assenza dell'illecito. Opportunamente quindi la legge indica un criterio presuntivo di riferimento, rappresentato dal reddito netto più elevato negli ultimi tre anni. Tuttavia la presunzione deve cedere non solo alla prova contraria ma anche in presenza di specifiche circostanze di fatto che rendono nella sostanza inattendibile quel dato in proiezione futura, nel caso in particolare si debba ragionevolmente escludere che il danneggiato sarebbe riuscito a percepire in futuro quel reddito, pur in assenza dell'illecito. Nella specie è proprio questa la situazione che viene in esame perché si può ragionevolmente escludere che quel reddito tanto elevato sarebbe stato ripetuto nel corso del tempo dall'attore, per le seguenti circostanze di fatto: a) quel reddito non risulta mai essere stato replicato in altre annualità; b) i redditi prodotti in annualità vicine sono significativamente inferiori o nulli; c) l'attore ha una naturale propensione alla chiusura ed aperture di imprese individuali che rende obiettivamente difficile la stima dei redditi futuri; d) dopo il sinistro ha cessato ogni attività lavorativa per qualche anno, salvo poi riprendere il lavoro. Con riferimento alla circostanza sub d) si deve, in particolare, escludere che la cessazione dell'attività lavorativa possa essere dovuta alle lesioni subite, come invece allegato dalla difesa dell'attore, e ciò perché non può ritenersi minimamente verosimile che una lesione della capacità lavorativa specifica minima, perché valutata al 7% sia tanto grave da impedire, e non solo ridurre, ogni attività lavorativa. Né può assumersi in fatto che la lesione alla capacità lavorativa specifica sia in realtà superiore, perché l'attore ha espressamente accettato la valutazione al 7% (ed in ogni modo il proprio consulente di parte l'aveva valutata al 10%, valutazione che ai fini che qui interessano, non sposta significativamente i termini della questione).

Se si considera la grave crisi economica che ha colpito il settore dell'edilizia, si deve concludere che il reddito dichiarato nel 2009, per l'anno di imposta 2008 costituisca una fortunato picco non più replicabile ed un dato sostanzialmente inattendibile per considerare il reddito che il danneggiato avrebbe conseguito in futuro in assenza dell'illecito.
Alla luce dei rilievi che precedono ed alla stregua di una valutazione a questo punto necessariamente equitativa, si deve porre alla base del calcolo del risarcimento un reddito annuo di euro 100.000,00. Il danno da lesione alla capacità lavorativa specifica permanente è, pertanto, di euro 80.724,00 applicando il coefficiente di 11.532, previsto dalla tabella allegata al r.d. 9 ottobre 1942 n. 1403 per la classe di età considerata (= euro 100.000,00 x 11.532 x 7%).

Come è ormai prassi di questo Tribunale non si effettua alcuna decurtazione a titolo di scarto tra vita lavorativa e vita effettiva, per compensare la circostanza che l'indicata tabella prevede coefficienti parametrati al censimento del 1911 e, pertanto, ad aspettative di vita notevolmente inferiori a quella attuale.

Per la temporanea, analogamente occorre eseguire una valutazione equitativa, partendo dalla condivisibile argomentazione difensiva dell'attore che difficilmente una fase acuta della malattia, durata circa 4 mesi, sia pure con inabilità parziale (dal 25 al 75%), ma con una storia clinica particolarmente travagliata come documentata dai documenti prodotti, non possa aver avuto significative ripercussioni su un'attività di impresa individuale di tipo artigiano (intonacatore), svolta personalmente dal danneggiato ed in assenza di dipendenti.

Ritiene congruo ed equo questo Giudice riconoscere a tale titolo la somma di euro 15.000,00.

Va, invece, disattesa per manifesta infondatezza la richiesta di risarcimento da perdita di chances quantificata in euro 127.988,80, perché anche in tal caso l'attore pretende in realtà di ottenere una duplicazione risarcitoria mediante l'abile espediente di utilizzare termini diversi per identificare lo stesso danno. Escluso, infatti, che l'attore abbia interrotto l'attività lavorativa a causa delle lesioni subite dal sinistro, considerando la minima entità delle stesse sia sotto il profilo medico (10%, un solo punto in più delle c.d. micro permanenti) che sotto quello dell'incidenza sulla capacità lavorativa specifica (7%), una volta risarcito il danno per la riduzione del reddito subito non residua alcun ulteriore danno per una pretesa chance in ambito lavorativo, in realtà del tutto inesistente. Del resto che si tratti di una duplicazione risarcitoria emerge in tutta evidenza dal criterio di liquidazione proposto, fondato sul triplo della pensione sociale, trattandosi di un criterio residuale previsto dall'art. 137 cod. ass. ed alternativo a quello del reddito annuo netto migliore nelle ultime tre annualità "negli altri casi", ossia nei casi in cui il soggetto non produca reddito al momento del sinistro (ma sia prevedibile li avrebbe prodotti in futuro) ovvero produca redditi inferiori. E' pertanto escluso che i due criteri, quello del reddito netto annuo migliore nelle ultime tre annualità e quello del triplo della pensione sociale, possano trovare applicazione congiunta.

Pertanto, in definitiva, il danno patrimoniale ammonta alla complessiva somma di euro 97.194,88 (= euro 1.349,88 + 121,00 + 80.724,00 + 15.000,00).

Il danno complessivo è quindi di euro 119.992,88, di cui euro 22.798,00 per danno non patrimoniale ed euro 97.194,88 per danno patrimoniale.

A titolo di rivalutazione monetaria ed interessi per il ritardato pagamento, sulla base dei criteri suggeriti dalla nota sentenza a Sezioni Unite nr. 1712/95 ed in base ad una valutazione equitativa, fondata sull'andamento nel periodo in considerazione degli interessi legali, da un lato, e della svalutazione monetaria, dall'altro, appare equo riconoscere un 4% in ragione annua dall'illecito, ossia il 06.03.2009.

L'attore ha pacificamente ottenuto 4 acconti: il 01.09.2009 di euro 4.000,00, il 01.10.2010 di euro 30.000,00, il 14.12.2010 di euro 10.000,00 ed il 18.01.2011 di euro 10.000,00 (cfr. doc.ti 2- 5 conv.), che vanno computati prima agli interessi e poi al capitale, a norma dell'art. 1194 c.c. Per semplificare il calcolo l'intera somma di euro 54.000,00, percepita a titolo di acconto può considerarsi pagata il 06.10.2010.

Pertanto, dall'illecito al pagamento dell'acconto complessivo, sono decorsi 1 anno e 7 mesi e gli interessi al 4% annuo maturati al momento del pagamento, ammontano ad euro 11.652,23 sicché il danno residuo, al 06.10.2010 è di euro 141.634,97 (euro 183.982,74 + 11.652.23 - 54.000,00).

Pertanto la società convenuta va condannata a pagare in favore dell'attore la somma sopra indicata oltre al 4% annuo dal 06.10.2010 al saldo effettivo.

L'accoglimento solo parziale della domanda dell'attore ed in misura fortemente ridotta alle pretese sia originarie che definitive nonché l'esposizioni di voci di danno del tutto inesistenti o gonfiate rispetto alla realtà giustifica la compensazione parziale, nella misura della metà, delle spese processuali. La società convenuta va, pertanto, condannata alla rifusione in favore del difensore dell'attore, che si è dichiarato anticipatario, della restante metà, liquidata come da dispositivo, tenendo conto dell'attività difensiva effettivamente utile ai fini della decisione e della ripetitività di molti scritti difensivi e sulla base dei nuovi parametri di cui al d.m. 20 luglio 2012, nr. 140 (che non prevedono il rimborso forfettario delle spese generali).

E' noto, infatti, che l'art. 9, commi 1 e 3 decreto legge 24 gennaio 2012, nr. 1 (convertito in legge 24 marzo 2012, nr. 27) e l'art. 41 d.m. cit. ha abrogato le tariffe professionali in via retroattiva, nel senso che, secondo l'interpretazione subito offerta dalla Corte di Cassazione delle citate disposizioni, "i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate" (cfr. Cass. Sez. Un. civ., 25 settembre 2012, nr. 17406). Per poter applicare i nuovi parametri per tutta la causa è dunque necessario che almeno parte della prestazione professionale si sia svolta dopo il 23 agosto 2012, data di entrata in vigore del d.m. nr. 140 del 2012, considerando che l'art. 9, comma 3 cit. espressamente prevede che le tariffe professionali, pur abrogate, continuino ad applicarsi, appunto, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali. Nella specie quasi tutta la causa si è svolta l'indicato termine, con conclusionali depositate il 05.07.2013 e, pertanto, l'interpretazione sopra riferita delle norme transitorie è pienamente applicabile.

P.Q.M.

Il Giudice del Tribunale di Rovereto definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da R.T. contro Generali Ina Assitalia S.p.A. (già Ina Assitalia S.p.A.), in persona della procuratrice GBS - Generali Business Solutions S.c.p.a., così provvede:

In parziale accoglimento della domanda condanna la società convenuta a pagare in favore dell'attore la somma di euro 141.634,97 oltre al 4% annuo dal 06.10.2010 al saldo effettivo.

Condanna altresì la società convenuta alla rifusione in favore del difensore anticipatario dell'attore, Avv. Riccardo Rocca, della metà delle spese processuali, quota che liquida in complessivi euro 5.138,60 di cui euro 5.000,00 per competenze ed euro 138,60 per spese vive, oltre IVA e CPA come per legge.
Rovereto, 27 luglio 2013.

Depositata il 1° ottobre 2013

IL GIUDICE
(dott. Riccardo Dies)

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.