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8 febbraio 2013

17/13. Eccessiva durata del processi e mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2013)

Come noto, l’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali nasce, nelle intenzioni del nostro Legislatore, come strumento di deflazione del contenzioso civile.

I benefici della mediazione sono riscontrabili non solo in termini di soddisfazione delle parti che raggiungono la conciliazione (che, contrariamente a quanto avviene in un processo, è basato su un accordo volontario tra le parti basato sui reali interessi delle stesse), ma anche in termini di durata del procedimento di mediazione: al massimo quattro mesi.

A fronte della nota criticità del nostro sistema giudiziario quanto all’eccessiva durata dei processi, dunque, potrebbe apparire di assoluto vantaggio provare, già prima di adire il giudice, ad intraprendere un percorso di mediazione: quattro mesi, a fronte della durata pluriennale del processo, che possono tradursi:
- in caso di raggiungimento dell’accordo, nella completa definizione della lite;
- in caso di mancato accordo, nella migliore comprensione – in primis – del proprio reale interesse nella lite (interesse di cui molto spesso le parti di una controversia non hanno piena consapevolezza).

Quanto all’eccessiva durata dei processi nel nostro Paese basti guardare la più recente giurisprudenza di legittimità.

Riportiamo al riguardo un abstract della Rivista Navigatore Settimanale del Diritto, fascicolo n. 4 del 2013.


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Corte di Cassazione civ., sez. II, 18-01-2013, n. 1261
Irragionevole durata del processo, procedimento di equa riparazione, irragionevole durata del procedimento di equa riparazione, indennizzo, ammissibilità

Il giudizio di equa riparazione, che si svolge presso le Corti d’appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, davanti a questa Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per se una condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex L. n. 89 del 2001. Né appare condivisibile l’assunto che il giudizio dinanzi alla Corte d’appello e l’eventuale giudizio di impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte Europea, nel caso in cui nell’ordinamento interno la parte interessata non ottenga una efficace tutela all’indicato diritto fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che, ovviamente, si svolga esso stesso nell’ambito di una ragionevole durata (I).

Circa la determinazione della ragionevole durata di un procedimento di equa riparazione, ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi anche dinanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi deve essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni (II).

(I) In senso conforme si veda, di recente, Cass. n. 17686/12 e Cass. n. 5924/12.

(II) Si veda al riguardo, in particolare, Cass. n. 5924/12.

Fattispecie: ricorso depositato presso la Corte d’appello, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domandando l’equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione (introdotto davanti alla Corte d’appello di Roma nel mese di luglio 2005, concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel mese di settembre 2006 e definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato nel mese di ottobre 2007, con ordinanza depositata nel mese di febbraio 2010) con riferimento al quale l’adita Corte d’appello ha dichiarato la domanda inammissibile ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla L. n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla denunciata violazione della durata ragionevole di giudizi presupposti. La Cassazione accoglie il ricorso con cui si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell’art. 111 Cost., rilevandosi che la citata legge non consente in alcun modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli, quindi, al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione Europea e dalla Costituzione italiana (la Cassazione osserva che la durata complessiva del procedimento di equa riparazione è stata dunque di circa quattro anni e sette mesi; detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché il termine di undici mesi intercorso tra il deposito del decreto e la proposizione della impugnazione, ulteriore rispetto al termine breve previsto per il ricorso per cassazione, la durata non ragionevole risulta essere stata di circa un anno e otto mesi, spettando dunque un indennizzo che va liquidato sulla base di Euro 750,00 per anno, e quindi in complessivi Euro 1.250,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo). 
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Navigatore Settimanale del Diritto
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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 17/2013